In un periodo non propriamente fortunato, un gesto, semplice e spontaneo, illumina la mia giornata, debolmente ma persistentemente, come una candela.
Solito giorno di lavoro, solita routine, solita folla di pazienti in attesa di sapere dal medico se dovranno o meno ricevere anche oggi la temuta, piu’ che dolorosa, iniezione intravitreale.
Intravitreale significa nell’occhio.
Si’, proprio li’.
Fa paura solo a pensarci.
Ma non fa male, c’e’ l’anestesia.
Se sei un paziente pero’ serve a poco, pensare che qualcuno ti stia per infilare un ago nell’occhio fa paura e basta.
Il medico decide (e prescrive), l’infermiere trained, ovvero istruito, esegue.
Almeno qui in Inghilterra.
Io assisto, preparando il paziente, somministrando l’anestetico e l’antisettico, curando la burocrazia, facendo mille altre cose in sette-otto minuti, la durata media di una procedura.
Ovviamente, chiamo anche i pazienti.
Arriva cosi’ il turno dell’ennesima signora.
95 anni.
Seduto accanto a lei il marito, ad occhio e croce altrettanto anziano.
Mi avvicino alla piccola folla dei pazienti, faccio il suo nome. Lei incrocia il mio sguardo e fa per alzarsi, mostrando quella lentezza e quell’impressione di perenne affaticamento che sempre contraddistingue chi e’ ormai al tramonto della vita.
Ma non passa un attimo che il marito scatta in piedi prima di lei e, con modi da autentico gentleman inglese, la aiuta ad ergersi dalla sedia, sussurrandomi poi: “take care of my old lady”, prenditi cura della mia anziana signora.
Sfoggio il mio miglior sorriso, per coprire l’imbarazzo di non sapere assolutamente cosa rispondere.
Lascio che la signora prenda il mio braccio e la accompagno in stanza.
Credo sia questo il vero amore.