L’infermiere e l’emergenza imprevista: come comportarsi?

La comunità infermieristica inglese è stata molto scossa dai recenti attacchi terroristici avvenuti in Inghilterra,  dove gli infermieri non sono stati protagonisti solo nel ruolo di soccorritori, ma anche di vittime, come nel caso di Kirsty Boden, infermiera australiana del Guy’s and St. Thomas’ Hospital, anch’essa barbaramente assassinata nel tentativo di soccorrere i feriti del recente attacco avvenuto al London Bridge. 
E’ di mercoledì, inoltre, la notizia di una Nursery nurse, ovvero di un’infermiera impiegata presso un’asilo nido, accoltellata ad un braccio ad una fermata dell’autobus da tre donne che avrebbero invocato (impropriamente) il nome di Allah, anche se la motivazione terroristica, in questo caso, non è stata ancora pienamente confermata. 
Il Premier austrialiano rende omaggio a Kirsty Boden, infermiera vittima dell’attentato. 
A seguito di questi eventi, l’RCN (Royal College of Nurses), il principale sindacato inglese, ha rilasciato una serie di istruzioni operative dirette a tutti gli infermieri che si trovino coinvolti in una situazione di incidente od emergenza improvvisa.
Istruzioni che sicuramente possono costituire un riferimento anche per i colleghi italiani, di recente alle prese, comunque, più con catastrofi naturali, come terremoti ed alluvioni, che con attacchi terroristici. 
Nella stessa terribile notte dell’attentato del London Bridge, tuttavia, un altro infermiere, questa volta italiano, ed un bodyguard di origini senegalesi si sono prodigati, compiendo uno straordinario atto di coraggio, per salvare la vita di un bambino di sette anni, rimasto schiacciato nella ressa verificatasi a Torino, tra gli spettatori che assistevano alla finale di Champions League. Come sappiamo, un petardo ha causato il panico generale tra la folla e la fuga caotica di molti spettatori, con un bilancio di centinaia di feriti. Quell’infermiere, di nome Federico Rappazzo, ha trascinato via dalla folla, con l’aiuto del bodyguard, il piccolo Kevin e lo ha poi protetto dalla calca con il proprio corpo.
Il drammatico imprevisto, dunque,  è sempre dietro l’angolo.
La regola principale da seguire in queste circostanze è sempre comunque quella della “safety first”: in buona sostanza, occorre accertarsi di essere in un posto sicuro, oppure di raggiungerlo immediatamente. 
Una volta superato questo problema, si può poi procedere ad allertare i servizi di emergenza (polizia, vigili del fuoco), a meno che qualcun altro non abbia già provveduto. Solo a questo punto si può prestare assistenza alle vittime, ma solo se sussistono condizioni di sicurezza. 
Insomma, per quanto l’adrenalina ed il senso del dovere, o l’istinto, possano far scattare la scintilla dell’eroismo, non tutti gli infermieri sono in grado di prestare primo soccorso in caso di emergenza, né viene loro richiesto. 
Anzi, l’RCN ricorda che è anche un dovere deontologico quello di tutelare la propria persona prima di tutti gli altri e di agire entro i limiti delle proprie conoscenze e competenze, come ribadito dal Code of Ethics (il Codice deontologico inglese). 
Talvolta è sufficiente prestare supporto ai servizi di soccorso, assistendo le vittime rimanendo in “seconda linea”e seguendo le istruzioni impartite al momento. 
Se si viene coinvolti nell’incidente sul posto di lavoro, inoltre, occorre seguire i piani di emergenza e le procedure (ad es., quelle di evacuazione) previste dal proprio datore di lavoro.
A tal proposito, in tutti gli ospedali e Dipartimenti per cui ho lavorato testano l’allarme antincendio (e chiudono automaticamente tutte le porte tagliafuoco) ogni settimana, in un giorno ed orario predeterminato, mentre annualmente sottopongono il personale a brevi training sulle procedure da seguire in caso di emergenza.
Qualora l’incendio sia reale, è prevista una rigida gerarchizzazione dei ruoli e dei compiti, con i “fire warden” (infermieri, ma anche altre categorie di personale) che coordinano l’eventuale evacuazione dello staff e dei pazienti verso le uscite di sicurezza ed i punti di raccolta, mentre non spetta agli infermieri od ai medici il compito di mettere immediatamente in salvo nessuno, finché non vengano impartite disposizioni in tal senso dagli stessi “fire warden”.
Insomma, non si muove foglia se ciò non viene deciso da quelli che, in Italia, sono i responsabili antincendio. 
Non ricordo di aver mai sentito, comunque, testare un allarme antincendio in un ospedale italiano; mi domando, pertanto, quali procedure vengano adottate se si verificasse un’emergenza in tal senso…

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