Tempo di Pasqua, tempo di ferie (anche per me). E la drammaticità del rientro è direttamente proporzionale alla loro durata. Negli ultimi tempi è successo di tutto: medici sospesi per aver consentito ad infermieri di gestire autonomamente ambulanze del Pronto Soccorso, somministrando farmaci senza prescrizione medica, ma basandosi solo su protocolli e linee guida (addirittura!), infermieri che montano una ribellione contro “opinionisti” che dichiarano in televisione che l’infermiere triagista non ha studiato per questo (e loro per cosa hanno studiato?), infermieri additati come angeli della morte che poi vengono apparentemente scagionati da errori di trascrizione delle intercettazioni.
Non c’è dubbio che i tempi stiano cambiando e che la sanità sia investita da una serie di innovazioni e vicende che vedono da una parte professionisti pronti al cambiamenti, dall’altra forze che si oppongono e resistono, soprattutto per effetto di reticenze culturali, a questa evoluzione.
Bene, ma dove ci stanno portando questi cambiamenti? Mi abbandono di seguito ad una serie di riflessioni.
In primo luogo, le esigenze di contenimento dei costi, dettate dalla crisi economica ma non solo, stanno aprendo grandi spazi di crescita per l’infermiere, ancora tutti da sfruttare per fornire all’opinione pubblica una nuova e più evoluta immagine della professione, che sicuramente sta beneficiando anche di un fisiologico calo del numero dei medici, legato al tanto discusso numero chiuso adottato negli ultimi anni dalle università.
Ma quali sono gli scenari futuri dei sistemi sanitari in cui si farà strada questa versione “2.0”, per usare una diffusa terminologia del web, dell’infermiere? Non c’è dubbio che ormai siano statisticamente preponderanti nella popolazione le patologie cronico – degenerative, legate spesso ad abitudini di vita giudicate scorrette: la cattiva alimentazione (e l’obesità), l’alcolismo, il tabagismo. Da esse dipendono patologie come il diabete, la cirrosi epatica, la broncopneumopatia cronico-ostruttiva, che implicano un’assistenza medico – infermieristica a lungo termine estremamente complessa e costosa. Pazienti con queste patologie costituiscono ormai la quotidianità di molti reparti e servizi ospedalieri e territoriali. Un’ampia fascia della popolazione, tuttavia, da tempo persegue stili di vita sani, trovandosi dunque meno esposta a contrarre le patologie suddette.
Fermiamoci un attimo, riprenderemo questo punto tra poco.
E’ inoltre innegabile che negli ultimi anni l’Europa sia al centro di una fortissima pressione migratoria che sta già dividendo l’opinione pubblica (e le forze politiche). I nuovi migranti si aggiungono ai vecchi, ma il comune denominatore è la provenienza da Paesi con una assistenza sanitaria scadente.
Specialmente in Paesi come l’Inghilterra o la Francia, i cittadini extracomunitari rappresentano la maggioranza dei pazienti che accedono ai servizi sanitari, specie in determinate aree in cui costituiscono anche la maggioranza della popolazione residente.
Tutto ciò si traduce in costi, sostenuti normalmente attraverso l’imposizione fiscale, nei Paesi con assistenza sanitaria pubblica, da cittadini europei, benestanti o che comunque svolgono un’attività lavorativa, in favore di cittadini, stranieri e non, che spesso non hanno contribuito nè contribuiscono al prelievo fiscale, in quanto disoccupati o beneficiari di benefits (sussidi) a vario titolo.
Ora: per quanto tempo un (ad esempio) professionista europeo, economicamente agiato, tollererà di rimanere in coda al Pronto Soccorso o di attendere mesi un intervento chirurgico perchè dinanzi a lui ci sono immigrati o connazionali che hanno da sempre vissuto di sussidi statali?
Per quanto tempo una persona che ha sempre osservato uno stile di vita “salutista” sarò disposta ad attendere settimane per un appuntamento con uno specialista, la cui lista d’attesa è intasata da pazienti obesi, tabagisti, alcolisti?
La sanità pubblica, a mio parere, sta già subendo l’esodo di queste categorie di pazienti, che si rivolgono fin d’ora a strutture private.
Ma prevedo che tra non molto l’intero sistema dell’assistenza sanitaria cesserà di essere pubblico e gratuito per tutti, nei Paesi, come il Regno Unito e l’Italia, in cui ancora sopravvive. Si assisterà invece ad una creazione di un modello privatistico – assicurativo di stampo statunitense, lasciando ai pazienti poveri ed agli immigrati una assistenza di bassa qualità in pochi centri che resteranno pubblici.
Uno scenario inquietante? Forse. Ai posteri – come si suol dire – l’ardua sentenza.