Me ne vado all’estero: mi conviene o non mi conviene rimanere iscritto all’Ordine? Questo è il problema!

Se lo sono chiesto tutti gli infermieri emigrati all’estero, oppure lo hanno chiesto a molti dei loro colleghi: mi conviene o non mi conviene rimanere iscritto all’Ordine?

La decisione, in primo luogo, è ovviamente legata, in buona parte, ai propri obiettivi professionali: se si pianifica una lunga permanenza, sarà più logico richiedere la cancellazione, la quale, tuttavia, impedirà la partecipazione a concorsi pubblici nel nostro Paese, nonché l’esercizio dell’attività lavorativa nel settore privato (ferma restando la legittimità, seppur solo teorica, della firma di un contratto di assunzione).

Pochi sanno, tuttavia, che esistevano alcune limitazioni alla possibilità di esercitare la professione infermieristica in Italia, qualora si espatriasse, pur non essendo mai stata richiesta la cancellazione.

Recitava infatti l’art. 11 del Dlcps n. 233/46, istitutivo dei collegi Ipasvi:

“La cancellazione dall’albo è pronunziata dal Consiglio direttivo, d’ufficio o su richiesta del Prefetto o del Procuratore della Repubblica, nei casi: (..)

b) di trasferimento all’estero della residenza dell’iscritto;

(…)

f) di morosità nel pagamento dei contributi previsti dal presente decreto”.

L’intuitivita’ di quest’ultimo adempimento è evidente, mentre destera’ qualche stupore iniziale il comma precedentemente menzionato.

La cancellazione per trasferimento all’estero era tuttavia anch’essa scontata, in quanto conseguenza della previsione organizzativa, su base provinciale, degli allora collegi Ipasvi.

Allora, come comportarsi? Delle due, l’una: si spostava la residenza all’estero e si rischiava di subire la cancellazione, anche d’ufficio, oppure si simulava una permanenza della residenza in Italia, con le possibili complicazioni, sul piano fiscale, che da ciò ne poteva derivare.

Va infatti osservato che la L. 488/70, istitutiva dell’AIRE, l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, impone l’iscrizione alla stessa entro 90 giorni dal trasferimento della residenza, per i cittadini che si stabiliscono in un Paese estero, per periodi superiori a 12 mesi. Non adempiere a questo diritto-dovere espone al rischio di una doppia imposizione fiscale, nel Paese di effettiva residenza ed in Italia, con l’aggiunta delle relative sanzioni.

Se il disposto normativo del Dlcps 233/46, risalente all’immediato dopoguerra, segnava, per le ragioni appena esposte, il passo, soprattutto di fronte alle recenti dinamiche migratorie, che hanno interessato non solo gli infermieri, ma molte altre categorie professionali, l’analisi attenta della legge Lorenzin, istitutiva dell’Ordine, consente di superare l’anacronismo, seppur “in calcio d’angolo”.

Analizzando il testo della L. 3/2018, che va a sovrapporsi ed a sostituire quello del Dlcps 233/46, si legge infatti, al capo I, art. 1:

“Nelle circoscrizioni geografiche corrispondenti alle province esistenti alla data del 31 dicembre 2012 sono costituiti gli Ordini (…) delle professioni infermieristiche. Qualora il numero dei professionisti residenti nella circoscrizione geografica sia esiguo in relazione al numero degli iscritti a livello nazionale ovvero sussistano altre ragioni di carattere storico, topografico, sociale o demografico, il Ministero della salute, d’intesa con le rispettive Federazioni nazionali e sentiti gli Ordini interessati, può disporre che un Ordine abbia per competenza territoriale due o più circoscrizioni geografiche confinanti ovvero una o più regioni”.

La nuova disciplina istitutiva degli Ordini, pertanto, conserva l’impianto su base provinciale, già previsto per i collegi Ipasvi dal Decreto del 1946. Rimane quindi esclusa la possibilità (peraltro prevista, invece, per le circoscrizioni elettorali), di creare una delegazione estera tenutaria di un Albo e, pertanto, la possibilità di esercitare la professione, contemporaneamente, in Italia ed in un Paese straniero? Non del tutto.

Qualche speranza, per gli emigrati, giunge infatti dalla previsione del nuovo Capo II, articolo 5, comma 3:

“Per l’iscrizione all’albo e’ necessario: c) avere la residenza o il DOMICILIO o esercitare la professione nella circoscrizione dell’Ordine”.

La dichiarazione del domicilio nella città italiana di provenienza consente quindi la possibilità di una conservazione dell’iscrizione ad un Ordine italiano, ferma restando l’opportunità non solo teorica, ma anche pratica, dell’istituzione di una delegazione ordinistica estera. Quest’ultima, infatti, consentirebbe non solo assistenza nell’espletamento di procedure burocratiche e tutela legale, per migliaia di infermieri italiani che esercitano la loro professione in un Paese estero e che ad oggi, in quanto lontani e spesso isolati, sono “figli di un Ordine minore”, ma arriverebbe anche a generare un reale e fecondo ponte professionale tra la categoria infermieristica italiana e quella di altre nazioni.

Sedi ordinistiche estere, infatti, permetterebbero di creare continue possibilità di scambi culturali con realtà assistenziali e modelli organizzativi diversi, che potrebbero costituire spunto per infinite sperimentazioni ed innovazioni.

In conclusione, è però fondamentale osservare che la cancellazione da un Albo provinciale OPI non esclude la possibilità di partecipare a selezioni pubbliche in Italia; fermo restando, però, che, in caso di vincita, al momento della “chiamata” e quindi dell’immissione in ruolo, l’infermiere “oriundo” dovrà provvedere immediatamente ad iscriversi prima di entrare in servizio, ovvero prima di svolgere anche una sola giornata di lavoro, sostenendone anche i relativi costi.

Come funziona la reperibilità per un infermiere di sala operatoria in UK? Breve intervista ad Andrea Pozzi, scrub nurse presso l’Hammersmith Hospital di Londra.

Molti di voi lavorano in theatre ed alcuni hanno prestato da tempo la propria disponibilità per l’on call. Chi non varca in confini della sala operatoria, tuttavia, spesso è ignaro dell’organizzazione di questo piccolo grande mondo.

Mi sono trovato casualmente a porre alcune domande all’amico e collega Andrea Pozzi, scrub nurse presso l’Hammersmith Hospital, uno degli ospedali facenti parte dell’Imperial College Trust di Londra. Nel suo theatre vengono spesso effettuati trapianti di rene e pancreas ed Andrea è già stato occasionalmente chiamato in servizio, durante la notte e nei weekend.

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Gli ho chiesto, in sommi capi, come sia organizzata la reperibilità nella sua realtà ospedaliera e lo ringrazio per le risposte che mi ha fornito.

“Quanti operatori coprono normalmente il turno di notte nel tuo theatre e quanti infermieri sono on call?”

Nel turno sono normalmente presenti un chirurgo, un infermiere ed un HCA. Il servizio on call prevede la reperibilità di un altro chirurgo, di un anestesista e di un altro infermiere. Il mio compito, non appena mi viene comunicata la disponibilità di un organo, è quello di telefonare al collega on call e di prenotare per lui un taxi. Successivamente, preparo la sala per l’intervento, in particolare la strumentazione necessaria al benching, ovvero la “pulizia” dell’organo da fluidi e residui di tessuto non necessario al trapianto, che viene effettuata dal chirurgo. Per un intervento, comunque, sono necessari solo due infermieri ed un HCA, oltre al personale medico”.

“Sono previsti limiti di percorrenza tra la sede di lavoro e la propria abitazione, per vedersi inseriti nel servizio di reperibilità?”

Il mio servizio di reperibilità notturna inizia alle 21.15 e termina alle 7.45. Per quanto ne so, è sufficiente risiedere a Londra. L’utilizzo del taxi mi consente comunque di giungere all’ospedale in tempi molto brevi, nel mio caso un quarto d’ora, laddove la normale percorrenza diurna, con i mezzi di trasporto pubblici, supera un’ora”.

“Quanto tempo intercorre tra la comunicazione della disponibilità di un organo e l’arrivo del corriere?”

In genere pochi minuti. Vengo personalmente informato quando l’organo sta già per essere consegnato. Può arrivare da qualunque ospedale del Regno Unito, talvolta anche con l’elicottero”.

“Quanto dura il turno di reperibilità? Puoi essere chiamato a coprire un turno anche il giorno successivo, nonostante sia stato impegnato la notte per l’on call?”

Il mio turno di notte inizia alle 21.00 e termina alle 7.45, dopo aver comunque coperto un late shift od un long day. Se non vengo chiamato, allora posso essere tenuto a tornare in servizio il giorno dopo, altrimenti ho la garanzia di un day off. Nel weekend il turno inizia alle 8.00 e termina alle 21.00 ”.

“Sei comunque retribuito anche se non vieni chiamato?”

Certo, ma la paga sarà inferiore, ovviamente”.

“Come descriveresti l’esperienza di una chiamata notturna, sapendo di dover assistere per una procedura di trapianto di organo?”

Emozionante, ma anche estremamente stancante. So quando entrerò in sala, ma non so quando ne uscirò”.

Breve biografia di Aneurin “Nye” Bevan, padre fondatore dell’NHS.

Ha creato il primo sistema sanitario pubblico nazionale completamente gratuito.

Ha dato corpo all’unica, vera istituzione socialista, come lui stesso la definì, ancora oggi presente nell’Europa Occidentale. In una Nazione che ha ancora a capo una Regina.

Ha fondato un’istituzione che garantisce assistenza sanitaria a tutti, attraverso una contribuzione proporzionata alla ricchezza dei cittadini: l’NHS, che quest’anno compie 70 anni ed è il sistema sanitario pubblico più antico e grande al mondo, con i suoi 1.4 milioni di dipendenti. E’ il quinto più grande datore di lavoro al mondo, secondo Wikipedia il terzo, dopo l’Esercito cinese e le Ferrovie indiane.

Ha salvato la vita a milioni di pazienti.

Ma non era un Santo, né è mai stato insignito di un Nobel per la pace, anche se lo avrebbe ampiamente meritato.

Stiamo parlando di Aneurin “Nye” Bevan, padre fondatore dell’NHS.

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Nato in Galles, dopo alcuni anni di lavoro come minatore Nye, come viene popolarmente chiamato ancora oggi, entrò in politica con i Labour, distinguendosi per le sue chiare simpatie socialiste e per il suo carattere aspro e passionale, tanto da entrare in aspro conflitto più volte, sia con i Tories di Neville Chamberlain e Winston Churchill, sia con i vertici del suo stesso partito, che addirittura lo espulsero nel 1939 per le sue posizioni antifasciste e per il suo tentativo di costituire uno schieramento politico trasversale ai partiti (il Popular Front) per osteggiare i franchisti in Spagna e la politica di non interventismo britannica. Fu comunque riammesso qualche mese più tardi.

Terminata la Seconda Guerra mondiale, nel 1945 i Labour vinsero le elezioni e Bevan venne nominato a sorpresa – era il più giovane Ministro del Governo ed era alla sua prima esperienza – dal Segretario del partito, Hugh Gaitskell, Ministro della Salute e dell’edilizia (Housing). In quest’ultimo settore contribuì alla realizzazione di un milione di case popolari, mentre, nella sanità, decise di conferire sostanza ad un progetto che era stato già formalizzato, pochi anni prima, in un documento della Medical Planning Commission, costituita, tra gli altri, dal Barone William Beveridge e dall’allora Ministro della Salute Henry Willink.

Il progetto, in buona sostanza, prevedeva di convogliare il management dei servizi sanitari inglesi sotto la guida di autorità locali, che avrebbero dovuto garantire:

  • servizi gratuiti ed accessibili a tutti, anche a turisti od a stranieri temporaneamente residenti;
  • servizi finanziati attraverso il sistema fiscale.

Fino a quel momento, infatti, l’assistenza sanitaria in Inghilterra era onerosa e molte famiglie con un parente in ospedale erano costrette a sostenere spese ingenti per le cure, ritrovandosi spesso sommerse di debiti, oppure rinunciando alle stesse.

Bevan dubitava, però, della capacità di piccole autorità territoriali di gestire di dimensioni importanti, come alcuni grandi ospedali, per cui decise che l’unica soluzione fattibile era riunire tutte le strutture sotto la guida di un’unica autorità nazionale.

“Illness is neither an indulgence for which people have to pay, nor an offence for which they should be penalised, but a misfortune, the cost of which should be shared by the community” / “la malattia non è né un’indulgenza che le persone devono pagare, né un reato, per cui debbano essere penalizzate, ma una sfortuna, il cui costo deve essere condiviso dalla comunità”.

Nel 1946 venne così approvato il National Health Service Act, che istituì, appunto l’NHS.

La data della sua inaugurazione, il cosiddetto “appointment day”, fu però posticipata al 5 luglio 1948, giorno in cui Nye si recò al Park Hospital (oggi denominato Trafford Hospital) di Davyhulme, Manchester. La prima paziente che visitò fu una 13enne, Sylvia Diggory, cui chiese se comprendeva l’importanza dell’evento, destinato ad essere una pietra miliare della storia, il passo più avanzato che una Nazione avesse mai intrapreso.

Anenurin_Bevan,_Minister_of_Health,_on_the_first_day_of_the_National_Health_Service,_5_July_1948_at_Park_Hospital,_Davyhulme,_near_Manchester_(14465908720)

Si trattò, tuttavia, di un esordio sofferto e combattuto: la British Medical Association minacciò infatti di boicottare la nascita dell’NHS fino a poche settimane prima dell'”appointment day” e Bevan dovette superare le resistenze dei medici offrendo loro alcune concessioni: come ebbe ad affermare, “riempiendo le loro bocche d’oro”.

Il 5 luglio 1948, 360.000 operatori sanitari passarono sotto un unico datore di lavoro, che iniziò a fornire assistenza sanitaria al 94% dei cittadini inglesi.

Va sottolineato ancora una volta che l’NHS degli esordi offriva un’assistenza interamente gratuita, tant’è che nel 1951, quando il Parlamento decise di introdurre un contributo per le spese odontoiatriche e per l’acquisto di occhiali, Nye rassegnò l’allora mandato di Ministro del lavoro, sentendo tradita la missione originaria del sistema sanitario pubblico.

Il contributo era di un pound per le spese odontoiatriche e di uno shilling (un penny) per gli occhiali.

L’NHS è non solo sopravvissuto, negli anni, a mille difficoltà ed a Governi con differenti bandiere, ma anche a momenti durissimi, come quelli della guerra civile nordirlandese.

I cittadini britannici lo venerano: nelle parole del politico Nigel Lawson, “l’NHS è, per un inglese, la cosa più vicina alla religione“.

Non è, però, solo una questione di affetto popolare o di orgoglio nazionale.

L’NHS ed i suoi valori, che traggono spunto dall’ispirazione rivoluzionaria del barone Beveridge e dalla caparbia ed illuminata volontà politica di Bevan, rappresentano infatti un modello di welfare che ha trovato applicazione anche in altre Nazioni.

Tra questi l’Italia, dove, un po’ in sordina, in una giornata prenatalizia del 1978, 30 anni dopo l’NHS, il Servizio Sanitario Nazionale emise il suo primo vagito, mettendo fine al sistema delle casse mutualistiche allora vigente. Nel nostro caso, buona parte del merito della nascita del sistema sanitario pubblico va attribuita ad una donna, al primo Ministro donna, per l’esattezza, della Repubblica italiana: Tina Anselmi, che, guarda caso, pur essendo democristiana, era vicina alle idee socialiste.

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E’ grazie alla visione illuminata di grandi figure politiche come la Anselmi e Bevan che possiamo oggi godere di una qualità di vita, nell’Europa occidentale, ancora invidiabile dal resto del mondo. Una qualità di vita raggiunta, però, non a scapito di qualcuno, ma, al contrario, con il contributo del popolo.

Ed è dal popolo che dipende la sopravvivenza o la scomparsa di questi sistemi. Perché nessuna poltica miope potrà distruggere l’NHS od il SSN, finché il popolo continuerà a difenderli. Esiste una massima a lui comunemente attribuita in UK, ma che in realtà fu pronunciata dall’attore che lo impersonava in una serie televisiva del 1997, a lui dedicata.

Mi piace però pensare che fosse nei suoi pensieri. Recita:

“The NHS will last as long as there’s folk with faith left to fight for it.” / L’NHS sopravviverà, fintantoché ci saranno uomini con fede rimasti a combattere per esso”.

Un messaggio quanto mai attuale.

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