Uno champagne da un miliardo di sterline.

Conservate nella vostra memoria digitale questo articolo od il link, perché quanto leggerete è una profezia di quello che accadrà al sistema sanitario nazionale italiano, entro i prossimi cinque anni. 

Vi spiego la cosa in pochi passaggi: ogni anno, l’NHS appalta la fornitura di servizi clinici, soprattutto territoriali e residenziali (come il numero telefonico di emergenza 111, oppure i walk-in center, strutture di primo soccorso, od ancora i servizi di salute mentale) a soggetti privati, pubblici (i Trusts dell’NHS) e ad operatori no profit, in una competizione aperta, per contendersi spicchi di una torta che quest’anno valeva 7.2 miliardi di sterline. 

Indovinate chi si è aggiudicato la fetta più grossa?

Esatto, proprio i providers privati, che hanno vinto il 43% degli appalti, per un totale di 3.1 miliardi di pounds, lasciando ai Trusts pubblici il 35% ed agli operatori no profit il restante 21%. 

La notizia, tradotta in freddi numeri, non farebbe di per sé sensazione, se non fosse per due note a margine: la vittoria schiacciante dell’imprenditoria sanitaria privata arriva all’alba delle dichiarazioni del Ministro della salute inglese Jeremy Hunt,  che aveva promesso di voler costruire un NHS più solido e prospero, favorendo maggiori finanziamenti. 

Ciliegina sulla torta (è il caso di dirlo), oltre 400 contratti, per un importo totale di oltre 1 miliardo di sterline, sono stati inoltre aggiudicati ad una delle aziende del cittadino britannico più ricco al mondo: Richard Branson, proprietario della Virgin, multinazionale con sede fiscale nelle Isole Vergini Britanniche, noto paradiso fiscale, e fornitrice di servizi in molti settori, dell’editoria musicale al trasporto aereo e ferroviario, fino, appunto, alla sanità, tramite la Virgin Care. 

Parliamo, insomma, di uno degli imperi privati più grandi al mondo, che fattura profitti immensi, ma che non restituisce neppure una sterlina in tasse al Regno Unito e che è finito di recente nell’occhio del ciclone per aver fatto causa per 82 milioni di pounds a sei CCG (Clinical Commissioning Groups, una sorta di Direzioni Territoriali dell’NHS), proprio in relazione ad una gara d’appalto, finendo con l’ottenere un risarcimento attraverso un accordo transattivo. 

Negli ultimi cinque anni, per giunta, gli imprenditori privati della sanità non hanno sempre dimostrato di fornire un servizio efficiente e di qualità, in alternativa all’NHS. 

Dopo aver sottratto molti servizi alla sanità pubblica offrendo spesso servizi sottocosto, infatti, molti di loro si sono visti stracciare dozzine di contratti, a seguito di crack finanziari o gravi disservizi lamentati dall’utenza. Nel 2015, ad esempio, la Coperforma perse un appalto di 63,5 milioni di sterline per il trasporto dei pazienti nel Sud dell’Inghilterra,  a seguito di un’inchiesta che aveva rivelato che pazienti in dialisi od in chemoterapia avevano mancato appuntamenti di importanza vitale.

La Virgin Care ha difeso la propria posizione, sostenendo di aver sempre erogato prestazioni di qualità e di aver ricevuto feedback positivi dal 93% dei propri pazienti. 

Tramite un proprio portavoce, il Ministero della Salute inglese (Department of Health) ha inoltre affermato che la spesa nell’assistenza sanitaria privata conta solo “per otto pence ogni sterlina” e che il Governo è attivamente impegnato per far sì che l’NHS, fondato e posseduto dal contribuente inglese, rimanga un servizio di fama mondiale gratuito, ora ed in futuro. 

Trovate qui il link all’articolo originale del The Guardian:

https://amp.theguardian.com/society/2017/dec/29/richard-branson-virgin-scoops-1bn-pounds-of-nhs-contracts?CMP=share_btn_tw&__twitter_impression=true

E’ ora di fondare un’Associazione degli infermieri italiani nel Regno Unito!

Da circa due anni gestisco il mio piccolo blog e la relativa pagina Facebook, dedicando un bel pezzo del mio tempo libero ad informarmi ed informare, per far conoscere la realtà del sistema sanitario inglese, vista con gli occhi di un infermiere italiano.

L’ho sempre fatto con piacere, perché attraverso questo progetto ho riscoperto la mia prima, vera passione: scrivere.

Quando iniziai, sentivo inoltre che i tempi erano maturi per creare un ponte tra Italia e Regno Unito, per aprire la comunità infermieristica del mio paese alla conoscenza del mondo anglosassone, così importante, per via delle estreme somiglianze nelle architetture dei sistemi sanitari.

Il nuovo anno porta tradizionalmente con sé nuovi propositi e desideri.

La speranza è che i miei, partendo proprio dal blog e dai social media, arrivino a coinvolgere molte, ma davvero molte, persone. Ora vi spiego come.

Gli infermieri italiani che sono attualmente registrati presso l’NMC hanno superato ormai le 5.000 unità, come risulta dalle statistiche ufficiali dell’Aprile 2017.

Si tratta di una comunità cresciuta esponenzialmente negli ultimi 5 anni, conseguenza di un sistema sanitario vicino al collasso ed incapace di inserire nella realtà lavorativa non solo le nuove generazioni di professionisti, ma – in non pochi casi – anche infermieri più…stagionati.

Chi è partito, nella grande maggioranza dei casi lavora adesso con un posto a tempo indeterminato.

In tanti hanno iniziato a fare carriera, altri ci sono già riusciti.

L’esperienza lavorativa nel Regno Unito regala spesso belle soddisfazioni, conoscere nuovi colleghi ed amici spesso ancora di più, sebbene non tutti possano affermare di avere vissuto momenti felici nel loro ambiente di lavoro, anzi.

Tuttavia, mentre chi vive oggi in Italia ed è disoccupato è stato dimenticato, gli emigrati sono stati dimenticati due volte: prima e dopo essere partiti, dalle istituzioni e perfino dall’Ipasvi (ops, Ordine!).

Perché?

Azzardo una provocazione: perché senza di noi ci sono meno bocche da sfamare, meno infermieri ai concorsi, meno rompiscatole in graduatoria che possono fare ricorso, meno persone che si lamentano e che tocca assumere prima o poi, se sono abbastanza tenaci da resistere a voler fare la professione per cui hanno studiato tre anni.

E poi, di che si lamentano? Guadagnano cifre spropositate, 4.000, no anzi, 5.000 euro al mese, l’amico di mio cugino si è addirittura comprato l’Audi nel giro di due anni.

Il Ministro Alfano ha addirittura sostenuto che l’emigrazione dimostra l’apprezzamento dell’eccellenza italiana nel mondo, le agenzie di recruitment fanno a gara per assumerci e il Brexit non ci toccherà minimamente!

Sarà per queste ragioni, sarà forse per banale dimenticanza, ma un fatto è certo: in Gran Bretagna siamo dispersi ai quattro venti, senza avere uno straccio di rappresentanza, un punto di riferimento.

Chi emigra si butta nel vuoto, inviando il proprio curriculum alle agenzie più note e sperando di non essere truffato, cercando informazioni a destra e a manca, magari chiedendole all’amico del cugino, proprio quello che si è comprato l’Audi.

Chi invece arriva in questo Paese dopo aver superato il colloquio, con una conoscenza dell’inglese quasi sempre da perfezionare, lo fa senza sapere nulla di ciò che l’aspetterà nell’ambiente di lavoro e senza avere la più pallida idea della società inglese e delle sue regole, dell’NHS, del sistema sanitario.

Gli inglesi sono in gamba, ci offrono spesso l’alloggio, ci formano attraverso corsi preparatori che possono anche durare, in qualche caso, due-tre settimane, ci regalano schede telefoniche e Oyster card. Sanno che staccare un biglietto di sola andata in una Nazione nuova e sconosciuta è un passo drammatico e difficile; sono tradizionalmente un popolo di esploratori, viaggiatori ed emigranti, e fanno del loro meglio per accoglierci decorosamente e trattenerci il più a lungo possibile.

A loro serviamo, siamo indispensabili, per l’Italia, evidentemente, no.

Finché le cose vanno bene, siamo contenti. Ma se qualcosa va storto, se subiamo mobbing, se anche solo ci serve un documento od una informazione, allora dobbiamo incrociare le dita ancora una volta e sperare che la nostra matron, il nostro manager, magari il sindacato, chiunque insomma nell’ambiente di lavoro possa aiutarci.

Ancora una volta, sapendo poco o niente dell’Inghilterra e delle sue regole.

Se si vuole poi tornare in Italia, il quadro è, paradossalmente, ancora più drammatico.

Si rientra con un biglietto di prima classe solo quando, grazie a magie, salti mortali e biglietti aerei last second, si è riusciti a presentarsi per le tutte le prove di quella specie di concerto da stadio che si ostinano a chiamare concorso pubblico e che dovrebbe selezionare i più meritevoli.

Gli altri, chi si è stufato e non ce la fa più, chi ha il papà o la mamma malati, tornano senza un contratto. Di nuovo disoccupati, rimediando un posto nella vicina casa di riposo (ops, scusate, RA od RSA), o strappando un contrattino di qualche mese in una clinica privata.

Oppure abbandonando la professione.

E le competenze acquisite in Inghilterra? Carta straccia, anche per chi torna a lavorare in un ospedale pubblico. Farsi riconoscere gli anni di servizio prestati all’estero, ai fini concorsuali, è una procedura lunga e complessa, che coinvolge il Consolato generale.

Per non parlare delle competenze specialistiche.

Hai un’esperienza di due anni in intensive care, la nostra Rianimazione? Hai conseguito anche un master in terapia intensiva? Benissimo, ma scusa, ti mando in sala operatoria, per la Rianimazione c’erano troppe richieste prima di te. Non è un esempio, ma una storia vera.

Sono passati molti anni e siamo in tanti.

E’ ora giunto il momento di riunirci e far sentire anche la nostra voce, in Italia e nel Regno Unito.

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Non sto parlando di fondare una sezione Ipasvi (anzi, dell’Ordine!) in UK, santo cielo! So bene che mi mandereste a quel paese (non l’Inghilterra), vista la poca stima di cui gode la nostra rappresentanza in questo momento di crisi.

Non potremmo neanche farlo giuridicamente: l’Ipasvi è un Ente di diritto amministrativo italiano, non avrebbe senso riunirci Oltremanica, fissando la sede legale in Italia.

Ma possiamo unirci, fondare un’associazione. Per fare cosa? Molto.

Assistenza legale e burocratica, scambio di informazioni e di esperienze, anche solo semplice contatto, sono le prime cose che mi vengono in mente.

Per non parlare delle richieste che potremmo avanzare al nuovo Ordine, nel breve e nel lungo termine, richieste legittime e che non sottrarrebbero, ma darebbero valore aggiunto alla professione nel nostro Paese: congelamento immediato dell’obbligo dei crediti formativi ECM per chi lavora in UK ed è ancora iscritto in Italia, riconoscimento automatico in Italia dei titoli specialistici acquisiti nel Regno Unito (ovviamente quando gli stessi avranno apprezzamento economico e di carriera anche in Italia), fino a corsi di lingua e borse di studio per infermieri italiani che desiderino formarsi in Inghilterra (esattamente come già fanno i medici italiani, badate!) e convegni tenuti da infermieri italiani ed inglesi, in partnership.

Nel frattempo, mi piacerebbe portare una delegazione l’anno prossimo a Roma, quando si voterà per il rinnovo del Direttivo Nazionale. Un modo per dire: ci siamo anche noi.

Siamo partiti per essere emigranti, rendiamoci partecipi e promotori di un processo evolutivo dell’intera categoria, dimostrando che la nostra partenza è stata una necessità, ma la nostra permanenza un’opportunità.

A voi che mi leggete e che siete arrivati fino alla fine di questo “programma” di intenti chiedo un solo, grande favore: condividetemi il più possibile e spargete la voce.

Forse qualcuno più bravo e capace di me, tra i colleghi italo-inglesi, riuscirà a mettere meglio in pratica quanto sto proponendo: allora lo seguirò.

Altrimenti, camminiamo insieme in questa direzione: è il mio sogno e se è anche il vostro, allora realizziamolo, dovessero volerci molti anni.

Se non ci riusciamo, almeno ci proviamo, fino alla fine.

Io ci metto la faccia.

Ma se non vi interessa, va bene così. So bene quanto sia potente il menefreghismo italiano, la voglia di badare solo al proprio orticello. E so come comportarmi, se questo spirito dovesse prevalere.

Buon 2018 a tutti.

Lettera del Primo Ministro Theresa May ai cittadini dell’Unione Europea che vivono nel Regno Unito.

Avrete saputo dai giornali, nei giorni scorsi, che Unione Europea e Gran Bretagna hanno finalmente raggiunto una prima bozza di accordo sul ritiro di quest’ultima dall’Unione. Tra gli altri passaggi, vengono praticamente congelati gli attuali diritti maturati dai cittadini comunitari che vivono nel Regno Unito. Questo significa che, almeno per ora ed almeno sulla carta, il Brexit non si tradurrà in norme aventi un impatto negativo diretto su tre milioni di persone.

Questa è la lettera che Theresa May ha pubblicato ieri sulla propria pagina Facebook.

L’ho tradotta per voi.

So che il nostro Paese sarebbe più povero se ve ne andaste e voglio che rimaniate.

“In qualità di Primo Ministro del Regno Unito, sono orgogliosa del fatto che che oltre tre milioni di cittadini dell’UE abbiano scelto di mettere su casa e guadagnarsi da vivere qui, nel nostro Paese.

Apprezzo molto la profondità dei contributi che offrite – arricchendo ogni parte della nostra economia, della nostra società, della nostra cultura e della nostra vita nazionale.

So che il nostro Paese sarebbe più povero se ve ne andaste e voglio che rimaniate.

Quindi, fin dall’inizio dei negoziati del Regno Unito per lasciare l’Unione Europea, ho costantemente affermato che la protezione dei vostri diritti – insieme ai diritti dei cittadini britannici che vivono nei paesi dell’UE – è stata la mia priorità principale.

Avete preso la vostra decisione di vivere qui senza alcuna aspettativa che il Regno Unito lasciasse l’UE. Quindi ho detto che voglio che voi possiate continuare a vivere le vostre vite come prima.

Ma so che su un tema così importante per voi e le vostre famiglie, c’è stata un’ansia di fondo che poteva essere affrontata solo quando i dettagli precisi di alcune questioni molto complesse e tecniche erano state elaborate e le basi per un accordo formale garantite.

Pertanto sono lieta che, a conclusione della prima fase dei negoziati, ciò sia esattamente quello che abbiamo conseguito.

I dettagli sono esposti nella relazione congiunta sui progressi pubblicata venerdì dal governo del Regno Unito e dalla Commissione europea.

Quando lasceremo l’Unione europea, avrete i vostri diritti scritti nella legge del Regno Unito.

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Ciò avverrà attraverso l’Accordo di Prelievo e il Contratto di implementazione che porteremo avanti dopo aver completato i negoziati sull’Accordo di Prelievo stesso.

I vostri diritti verranno quindi applicati dai tribunali del Regno Unito. Laddove appropriato, i nostri tribunali terranno in debito conto la giurisprudenza della Corte di giustizia, e abbiamo anche convenuto che per un periodo di otto anni – laddove la giurisprudenza esistente non è chiara – i nostri tribunali potranno scegliere di chiedere alla Corte di giustizia una interpretazione, prima di raggiungere la propria decisione. Quindi, quando riprenderemo il controllo delle nostre leggi, potrete essere sicuri non solo che i vostri diritti saranno protetti nei nostri tribunali, ma che ci sarà un’interpretazione coerente di questi diritti nel Regno Unito e nell’Unione europea.

Abbiamo concordato con la Commissione europea che introdurremo un nuovo regime di status, regolato ai sensi della legislazione del Regno Unito per i cittadini dell’UE e i loro familiari, coperti dall’accordo di revoca.

Se hai già cinque anni di residenza continuativa nel Regno Unito al momento in cui lasciamo l’UE – il 29 marzo 2019 – avrai diritto a uno status regolare (di residente regolare nel Regno Unito, n.d.T.). E se sei qui da meno di cinque anni, sarai in grado di rimanere finché non avrai raggiunto la soglia dei cinque anni.

Come risultato dell’accordo raggiunto nei negoziati, una volta conseguito uno status regolare, i vostri familiari stretti saranno liberi di unirvi a voi qui nel Regno Unito dopo che avremo lasciato l’UE. Ciò include i coniugi, i partner non sposati, i figli, i genitori e i nonni a carico, nonché i bambini nati o adottati al di fuori del Regno Unito dopo il 29 marzo 2019.

I vostri diritti sanitari, pensioni e altri sussidi rimarranno gli stessi di oggi. Ciò significa che quelli di voi che hanno pagato nel sistema del Regno Unito – e certamente i cittadini del Regno Unito che hanno pagato nel sistema di uno Stato membro dell’UE – possono beneficiare di ciò che avete inserito e continuare a beneficiare delle attuali regole di coordinamento per le contribuzioni future.

Abbiamo anche accettato di proteggere i diritti di coloro che si trovano in una situazione transfrontaliera al momento del nostro ritiro e hanno diritto a una tessera europea di assicurazione sanitaria del Regno Unito. Ciò include, ad esempio, turisti per la durata del loro soggiorno, studenti per la durata del loro corso e cittadini del Regno Unito residenti in un altro Stato membro dell’UE.

L’accordo che abbiamo raggiunto include regole reciproche per proteggere le decisioni esistenti per il riconoscimento delle qualifiche professionali, ad esempio per medici e architetti. E vi consente anche di essere assente dal Regno Unito per un massimo di cinque anni senza perdere il tuo stato di residenza – più del doppio del periodo consentito dalla vigente normativa UE.

Ci sarà un processo trasparente, fluido e snello per consentirvi di richiedere lo status regolare dalla seconda metà del prossimo anno. Non costerà più di una domanda di passaporto. E se avete già un valido documento di residente permanente, sarete in grado di convertire il vostro status in stato di residenza a titolo gratuito.

Stiamo anche lavorando a stretto contatto con la Svizzera e gli Stati membri del SEE (Spazio Economico Europeo, N.d.T.), per garantire che anche i loro cittadini nel Regno Unito beneficino di tali accordi.

Ho passato molte ore a discutere di questi problemi con tutti gli altri 27 leader dell’UE negli ultimi diciotto mesi, nonché con il presidente Juncker, il presidente Tusk e il capo negoziatore dell’UE Michel Barnier. Sono fiduciosa che, quando il Consiglio europeo si riunirà più tardi, questa settimana, accetterà di procedere su questa base.

E farò tutto il possibile per assicurarmi che lo facciamo.

Quindi, adesso, non dovete fare nulla. Potete guardare avanti, sicuri di sapere che ora esiste un accordo dettagliato sul tavolo, in cui il Regno Unito e l’UE hanno stabilito come intendiamo preservare i vostri diritti – così come i diritti dei cittadini britannici che vivono nei paesi dell’UE. Perché ci siamo assicurati che questi negoziati mettessero al primo posto le persone. Questo è quello che ho promesso di fare ed è quello che continuerò a fare in ogni fase di questo processo.

Auguro a voi ed alle vostre famiglie uno splendido Natale e un veramente felice anno nuovo.

Offerte di lavoro per il Regno Unito: cosa è bene sapere.

Mi capita spesso di leggere, su vari gruppi e pagine Facebook, annunci di lavoro per infermieri italiani intenzionati a tentare l’avventura in Gran Bretagna.

Non troverete, mi preme ribadirlo, offerte del genere sul mio blog, per una precisa scelta “strategica”, in quanto esso ha uno scopo puramente informativo.

Tutte le proposte che vi capiterà di leggere sono sicuramente attendibili e provengono da recruitment agencies rispettabili (non mi è ancora arrivata voce di una truffa), ma è bene sapere, quando si presenta il proprio curriculum, a che gioco si sta per giocare e di che tipo di offerta di lavoro si tratta.

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Vi fornirò, pertanto, un compendio di indicazioni che potranno aiutarvi nella selezione dell’offerta di lavoro più opportuna per voi.

Tanto per cominciare, non starò qui a tediarvi raccontandovi di come Londra o Manchester siano meglio delle piccole città del countryside, ovvero della campagna inglese, o viceversa: la scelta, in questo caso, è riservata alle vostre preferenze personali ed al desiderio che avete di tornare a casa più o meno frequentemente (Londra è, ovviamente, meglio collegata con molte città italiane ed è a sole due ore circa di volo).

E’ logico, inoltre, aspettarsi che voi possiate essere inquadrati da colleghi e pazienti come “l’infermiere straniero” se vi recherete in un piccolo County hospital del Berkshire (ne dico uno a caso), mentre in un grande Trust londinese sarete solo uno dei tanti “overseas”, spesso la maggioranza rispetto al personale britannico (tanto per farvi un esempio, nel mio Dipartimento tutto, ma proprio tutto il personale infermieristico non è inglese).

Ogni situazione, ovviamente, presenta i suoi pro e contro, ma ritengo che il processo di integrazione sia più veloce e scorrevole in una grande città, essendo i più grandi Trust meglio preparati all’induction, cioè all’inserimento, di personale straniero.

Il punto centrale delle offerte di lavoro, comunque, sta nel tenore stesso dell’offerta di lavoro.

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Molte agenzie di recruitment, attualmente, svolgono infatti selezioni per infermieri italiani che non solo non sono già registrati presso l’NMC (come ci si potrebbe aspettare, se non hanno avuto alcuna esperienza di lavoro in UK), ma non possiedono neppure la certificazione linguistica.

In tal caso, si garantisce la partecipazione ad un breve corso (in molti casi, non garantisco in tutti, gratuito) e l’inserimento nella prima fascia di inquadramento contrattuale del personale infermieristico, la band 5, ad avvenuto superamento dell’esame IELTS o del nuovo OET.

Il corso, quindi, rientra spesso in un pacchetto di benefits (come il primo mese di metropolitana pagato, la SIM card gratis o l’alloggio riservato in un’accomodation, ovvero in un residenza) che accompagnano molti annunci e che servono a favorire l’ambientamento del neoassunto in UK.

Bene: sappiate che, qualora non vi venga richiesta la certificazione linguistica, firmerete il contratto subito, ma inizierete a lavorare per l’ospedale che vi ha assunto come healthcare assistants (HCA) e venendo inquadrati nella band 3.

Tradotto in soldoni, vi troverete a guadagnare mensilmente, almeno per il primo anno, circa 1.400 pounds lordi, quasi 1.600 euro (fonte: NHS pay scales, ovvero il tariffario ufficiale dei dipendenti NHS), fatto salvo il bonus per compensare il maggior costo della vita di chi vive a Londra, dove una camera doppia in condizioni decenti e non troppo decentrata difficilmente costa meno di 500 pounds mensili (bollette escluse, quasi sempre). In altre parole, un salario più o meno equivalente a quello di un barista di una delle grandi catene di caffetterie che da anni hanno colonizzato Londra (Starbucks, Costa o Caffè Nero, per intenderci).

Logicamente, quello considerato è un salario base, che comunque potrà conoscere maggiorazioni nell’ipotesi in cui si coprano turni di notte o festivi e che però potrebbe accompagnarvi per molti mesi, se la vostra conoscenza dell’inglese è un po’ lacunosa.

Altre offerte di lavoro, invece, sono riservate agli infermieri già iscritti o perlomeno in attesa di iscrizione al Registro: troverete allora sugli annunci indicazioni come “registered nurses”, “pinned nurses”, oppure l’acronimo RN.

Se non possedete il famoso PIN number, o non avete quantomeno l’IELTS o l’OET, che garantiscono un’agevole (ma non rapidissima) iscrizione presso l’NMC, vi consiglio allora di non perdere tempo e valutare altre proposte.

Per completare questo breve excursus,  ho notato che di recente alcuni annunci vertono su offerte di lavoro come care worker, talvolta indicato come carer. Si tratta di una figura di assistente domiciliare che non richiede alcuna iscrizione al Registro NMC ed è paragonabile a quella di un badante qualificato. Per alcuni, decisamente intenzionati ad emigrare, è un’ottima opportunità per trasferirsi e lavorare senza conoscere in maniera approfondita l’inglese, ma imparandolo nel tempo.

Premesso che anche un familiare può svolgere la funzione di carer e che ciò, pertanto, può ingenerare confusione, quella dei care workers è una realtà socio-sanitaria, anch’essa ampia e con molte sfaccettature: tanto per fare un esempio, il care worker, può provvedere ad esigenze di igiene e nutrizione del paziente, mentre il support worker non se ne occuperà, svolgendo invece compiti di pulizia della casa o di acquisto di beni di prima necessità. Il salario, pertanto, varierà in base alle competenze ed i tasks, ovvero i compiti, richiesti, non differenziandosi di molto, comunque, da quello di un HCA, essendone solo leggermente inferiore.

Come avete notato, in questa breve esposizione mi sono attenuto a cifre e fatti, astenendomi praticamente da ogni commento e/o considerazione personale.

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Ognuno può scegliere in base alle proprie preferenze e necessità, purché correttamente informato. La vita è come una scatola di cioccolatini, diceva Forrest Gump, ma ogni tanto è bene sapere quali si sta per mangiare.