L’NMC e l’IPASVI: trova le differenze.

Nelle scorse settimane, in occasione dei rinnovi dei consigli provinciali Ipasvi, mi è capitato più volte di leggere improvvide dichiarazioni di colleghi che, sprezzanti di denunce e provvedimenti disciplinari, definivano “quelli dell’Ipasvi” “mafiosi” e “m..de”.

Testualmente.

L’ultimo, in ordine di tempo, dichiarava di essersi trasferito in Inghilterra e di volersi iscrivere presso l’NMC, cancellandosi al tempo stesso dal Collegio di appartenenza.

L’ho informato che, così facendo, non avrà più modo di sostenere concorsi pubblici, né, in generale, di tornare a svolgere la professione infermieristica in Italia, a meno che non si iscriva nuovamente od eviti di cancellarsi, continuando così a pagare l’odiata tassa a quelle “m..de” dell’Ipasvi, come da lui definite.

Tralasciando ogni polemica sullo squallido tenore di certe esternazioni, credo sia utile, a questo punto, operare qualche comparazione tra i compiti dell’Ipasvi e quelli dell’organismo ad esso equivalente in UK, ovvero l’NMC, il Nurses and Midwifery Council, non solo per fornire una piccola guida a chi si appresta ad emigrare o lo ha fatto da poco, ma anche per chi ancora lavora in Italia. Il motivo lo si comprenderà tra poco.

  1. L’NMC definisce gli standard di formazione ed aggiornamento degli infermieri, dai programmi universitari fino ai CPD, l’equivalente dei corsi ECM in Italia, che però non organizza. Al contrario, i Collegi italiani programmano molte giornate di formazione, ma intervengono con un ruolo marginale nella definizione dei curricula universitari;
  2. A fronte di un ammontare minimo di crediti formativi ECM che la normativa stabilisce debbano essere accumulati nel corso di un triennio, non sono ancora, ad oggi, state definite sanzioni per chi trasgredisce. L’NMC, invece, cancella dal Registro tutti coloro i quali non abbiano completato nel termine di tre anni gli obblighi previsti dalla normativa sulla Revalidation, molto più ampi dei semplici crediti ECM.
  3. L’NMC tutela i cittadini dall’abusivismo (molto raro in UK) ed irroga sanzioni disciplinari nei confronti degli iscritti al registro, esattamente come l’Ipasvi. Dispone annualmente la radiazione per circa lo 0,4% degli iscritti, pubblicandone nome e motivazioni della sanzione sul proprio sito online. Non risultano invece statistiche, né dispositivi dei provvedimenti per i radiati da un Collegio Ipasvi italiano, salvo casi di cronaca eclatanti (come nel caso di Daniela Poggiali, che scattò selfie con i cadaveri dei propri pazienti).  Mi farebbe molto piacere averne a disposizione, a proposito. D’altronde, si tratta di informazioni mirate a tutelare il pubblico e che per questo andrebbero diffuse, almeno online.
  4. Il pagamento della tassa annuale di iscrizione ad un Collegio oscilla mediamente tra i 50 ed i 60 euro. La morosità implica l’obbligo del versamento di interessi, ma il saldo può avvenire dopo mesi od anni. Nel frattempo, l’infermiere può continuare ad esercitare la professione. La tassa per l’iscrizione all’NMC costa 120 pounds all’anno, oltre 130 euro. Il mancato pagamento entro i termini comporta la cancellazione automatica dal registro. Il nurse inglese non può più svolgere la professione fino a nuova iscrizione, rischiando il licenziamento immediato dal Trust per il quale lavora, a meno che non sia posto in administrative leave (una sorta di sospensione dall’incarico) o non venga temporaneamente “demansionato” ad healthcare assistant, con relativa riduzione dello stipendio.

In buona sostanza, come si può notare da questa succinta analisi, l’NMC non riveste un ruolo più importante, né ha attribuzioni molto più ampie rispetto a quelle di un Collegio Ipasvi.

Il quadro tratteggiato rende tuttavia molto bene l’idea di una normativa applicata in molto più rigoroso rispetto a quella italiana.

Prima ancora di biasimare quegli infermieri che sconsideratamente insultano i rappresentanti della loro stessa professione, mi domando allora se il rispetto e la considerazione di cui questi ultimi difettano, indipendentemente dal loro impegno e dalla loro moralità, non nasca piuttosto dalla scarsa severità, anzi dalla tipica, elastica “modalità italiana” di applicazione di norme pur vigenti.

Sappiamo bene quanto, oltre alla carota, sia alle volte importante anche il bastone, per muoversi nella giusta direzione.

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Perché un infermiere potrebbe sostituire senza problemi un commesso di un centro commerciale nel giorno del Black Friday.

Vi racconto una mia piccola disavventura, questa volta capitatami in Italia. 

Mi sono recato all’Ikea per acquistare un mobile. 

Una scrivania, per l’esattezza. 

Premetto di esserci andato dopo essere rimasto allibito da costi e tempi di consegna di un’altra nota catena di vendita al dettaglio di mobili, che dichiara di essere “low cost”. 

Mi reco al più vicino store Ikea, non lontano da dove abito in Italia, in una domenica mattina molto affollata, forse per via del recente Black Friday. 

Vado di fretta, devo poi trasportare e montare il mobile e non ho voglia di trascorrere un giorno di ferie in Italia dentro l’Ikea.

Trovo subito un ottimo modello, peraltro scontatissimo. 

Chiedo alla commessa di indicarmi i colori e le variazioni disponibili. 

La signorina, peraltro gentile, mi fornisce tutte le informazioni richieste.

Segno un paio di codici, vado a prelevare i pannelli di uno specifico colore in magazzino, mi reco in cassa. 

Tutto liscio. Apparentemente.

L’addetta alla cassa mi fa infatti notare, dopo un paio di telefonate, che il colore che avevo selezionato è l’unico non in offerta, per cui avrei dovuto spendere circa sessanta euro in più, se avessi voluto acquistarlo. 

Poi mi lascia lì, di punto in bianco, dovendo assistere altri clienti ad altre casse.

Torno in magazzino, lascio i pannelli, mi reco nel settore dove potevo trovare la stessa scrivania, ma di un altro colore che pure mi piaceva e che era però in sconto. 

Terminato.

Lascio il carrello, cammino (controcorrente!) fino al reparto mobili da ufficio, chiedo spiegazioni ad un altro addetto (nel frattempo, l’altra commessa si era eclissata). 

Faccio notare che uno dei colori era terminato e l’altro non in offerta.

Il giovane mette in dubbio per due volte la mia parola. Poi chiama un magazziniere, che si reca a depositare i pannelli proprio mentre arrivo al settore del magazzino (e prima di scenderli dal muletto, dopo che io avevo chiesto se fossero quelli della mia scrivania, mi risponde: “sì, però si deve spostare da lì”).

Alla fine, prendo il mio mobile, pago e me ne vado, dopo aver buttato via un’ora del mio tempo ed aver stravolto i programmi della giornata, per via di un’addetta che non mi aveva fornito le informazioni necessarie per completare il mio acquisto.

Immaginate ora di proiettare questo disservizio, che peraltro ho subito da un’azienda famosa nel mondo per il customer service, in una realtà sanitaria. 

Immaginate un paziente che si accorge di aver perso inutilmente un’ora del suo tempo, magari in un Pronto Soccorso o mentre è in attesa di un’operazione salvavita. 

Un’ora del proprio tempo buttata via invano, quando la preoccupazione percepita non è quella di non poter acquistare il mobile del colore preferito o di spendere sessanta euro in più,  ma di vedere aggravate le proprie condizioni di salute o di subire un ulteriore danno ad essa.

Capirete allora che gli infermieri abili nella comunicazione (non tutti lo sono, lo vedremo tra poco) sono eccezionali strateghi del customer service, in grado di sostituire egregiamente non solo un addetto di un centro commerciale in un giorno di Black Friday, ma anche molti managers. 

Perché per un infermiere è sostanza del proprio lavoro, oltre che routine quotidiana, assistere il cliente/paziente nelle condizioni più difficili: in un ambiente sovraffollato, lottando contro il tempo, dispensando informazioni tecniche in un modo comprensibile a persone stressate, ansiose, sofferenti. 

Gli infermieri sono abituati a fornire un servizio che non trova interruzione in ogni giorno dell’anno e dovendo rispettare una tempistica e dei ritmi che, in caso di ripetuta violazione, non solo possono sfociare in un richiamo del datore di lavoro (come per gli addetti di colossi come Ikea od Amazon), ma in una responsabilità professionale. 

Oltre alla comunicazione, non dimentichiamo poi che l’infermiere eroga altre prestazioni, servendosi di tecnologie sofisticate o frutto di una manualità acquisita in anni di esperienza. 

Riflettiamoci un attimo, quando consideriamo che gli attuali stipendi di un infermiere e quelli di un addetto alle vendite di un negozio (non importa se di un centro commerciale o no) sono molto vicini tra loro. 

Una corretta comunicazione incide profondamente sull’outcome, ovvero sull’esito della cura e  dell’assistenza: aumenta la compliance del paziente alla terapia, risolve potenziali conflittualità con gli operatori sanitari, aumenta in generale il livello di soddisfazione del paziente e la considerazione per la professionalità dell’infermiere che lo ha assistito. 

Tuttavia, in un’epoca nella quale la discussione sulle competenze è incentrata in larga parte sulle diagnosi infermieristiche e sulla specializzazione tecnica, la comunicazione è un fattore ancora ingiustamente sottovalutato nelle valutazioni dell’outcome assistenziale e spesso costituisce un obiettivo mancato. In altre parole, il dialogo e l’educazione al paziente vengono spesso trascurati.

Ma cosa occorre ad un infermiere per essere un abile comunicatore, vi domanderete? Non credo sia necessario guardare lontano, non serve attuare tecniche particolari apprese mediante seminari e convegni sulla PNL (programmazione neurolinguistica) tenuti da coach o santoni. 

Sono invece indispensabili, in primo luogo, le buone maniere. 

Proviamo a calarci, come pazienti, in queste due situazioni diverse, dopo essere stati chiamati in una stanza per una visita ambulatoriale. 

Immaginate un infermiere che riceva una paziente (non è solo una semplice ipotesi, ma realtà osservata con i miei occhi) affermando: “Siediti su quella sedia, signo’!” (magari con accento dialettale marcato) ed un altro che invece si presenti con: “Buongiorno, Signora. Mi chiamo… Prego entri pure e si accomodi su quella sedia. Perdoni l’attesa”. 

Nessuno dei due infermieri è stato maleducato (non in modo eclatante). Magari il primo è anche più esperto e tecnicamente più capace. Ma a chi dei due, senza conoscerli, affidereste di primo acchito la vostra salute? A chi attribuireste la maggior considerazione professionale? In chi riporreste la vostra fiducia?

Ho sentito, in passato, affermare da molti pazienti: “Quel medico è un signore”. 

Bene, mi auguro che, parallelamente alle battaglie per un equo stipendio, contro il demansionamento ed a favore del riconoscimento delle competenze specialistiche, gli infermieri lottino al loro interno anche per l’affermazione della signorilità e delle buone maniere (non serve che siano eccessivamente ostentate, come talvolta capita agli inglesi), che nel cliente/paziente si associno finalmente alla percezione – anche se non sempre corrispondente alla realtà – di avere di fronte un professionista capace, una persona “studiata”, come si legge simpaticamente oggi sui alcuni gruppi Facebook. 

Perché siamo tecnici, siamo oggi intellettuali, ma prima ancora di tutto questo siamo addetti al customer service più difficile al mondo, per cui l’immagine (che coincide solo in parte con l’aspetto estetico, si badi bene, io sono sempre stato a favore di infermieri con piercing e tatuaggi) ha una rilevanza essenziale. 

First impression count, la prima impressione conta: mi è stato insegnato non appena ho messo piede in UK dal mio precedente coordinatore, forse l’infermiere con le più elevate capacità conunicative che abbia incontrato nella mia carriera. 

Ma se le buone maniere sono l’antipasto, la competenza professionale costituisce il pasto principale. Interpretare e soddisfare i bisogni di salute non è – con il dovuto rispetto – suggerire il colore di scrivania da acquistare, oppure indicare il modello in offerta. 

Per soddisfare entrambi i requisiti, delle buone maniere e della competenza, vi è infine una condizione preliminare da rispettare: possedere un adeguato livello di cultura generale.  

Pertanto, la strada è sempre la stessa, per tutti noi: studiare, aggiornarsi, insomma sgobbare sui libri. 

È questa la differenza che passa tra il mestiere di addetto alle vendite (che stimo e rispetto) e la professione infermieristica.

Storia del Mid Staffs scandal, il più grande scandalo della Sanità inglese. 

Un numero di morti evitabili stimato tra i 400 ed i 1.200 pazienti nell’arco di cinque anni.

Una media di indennizzi pari a 11.000 sterline per ogni paziente deceduto in seguito ad inadempienze della struttura.

5 commissioni d’inchiesta, di cui 4 parlamentari.

Oltre un milione di pagine relative agli atti d’indagine.

5 infermiere radiate dal Registro e due sospese. 

Infinite richieste di giustizia dei familiari rimaste inevase.

Questi i numeri grezzi del Mid Staffs scandal, il più grande scandalo della Sanità inglese del secondo millennio. Uno scandalo che, oltre all’enorme clamore suscitato per anni, ha portato a ridisegnare il volto dell’NHS inglese. 

Ne ho tracciato una breve storia, cercando di sintetizzare almeno quattro anni di inchieste condotte da commissioni parlamentari, che hanno scavato a fondo su eventi verificatisi nei cinque anni precedenti.  

Nel 2009 lo Stafford Hospital è un piccolo district hospital, una struttura ospedaliera distrettuale, situata nelle Midlands, regione centrale dell’Inghilterra, un’area tranquilla e nota prevalentemente per alcune aziende manifatturiere. Lo Stafford Hospital è gestito dal Mid Staffordshire NHS Trust, divenuto da solo un anno Foundation, ovvero ad amministrazione mista privata e pubblica e quindi parzialmente fuori dal controllo del Department of Health, il Ministero della Salute inglese. 

                                Un’immagine dello Stafford Hospital. 

Presso lo Stafford Hospital qualcosa non funziona come dovrebbe. Le statistiche dei pazienti deceduti superano infatti quelle che ci si attenderebbe da un ospedale distrettuale. In particolare, la morte di sette pazienti, collegata a deficit negli standard di sicurezza assistenziali, allarma nel gennaio 2008 l’Healthcare Commission (HCC), Ente governativo allora incaricato (sarà poi sostituito dal CQC, Care Quality Commission) di vigilare sugli standard di qualità e sicurezza di tutti gli ospedali NHS. 
La Commissione chiede spiegazioni ai dirigenti del Foundation Trust, sentendosi rispondere che si trattava semplicemente di “errori di codifica” nella registrazione della morte dei pazienti. 

L’Healthcare Commission non ci vede chiaro e decide di scavare più a fondo. Nello stesso periodo, Julie Bailey, la cui madre era deceduta presso la struttura nel 2007, raccoglie in breve tempo le testimonianze ed il sostegno di altri familiari di pazienti deceduti presso lo Stafford Hospital, dando così vita al movimento “Cure the NHS” e domandando una pubblica inchiesta sui casi.  

Le pressioni congiunte di ispettori ministeriali e familiari delle vittime (è il caso di dirlo) scoperchiano così in breve tempo una pentola di carenze, inadempienze, abusi verificatisi nello Stafford Hospital, che avrebbe caratterizzato le prime pagine dei giornali inglesi per anni. 

Le commissioni d’inchiesta si susseguono infatti una dopo l’altra fino al 2013, producendo una serie di rapporti che presero il nome di “Francis Report”, dal nome del parlamentare Robert Francis, che svolse un ruolo cruciale nella conduzione delle inchieste. I Francis Report si caratterizzarono come un racconto di orrori e di fallimenti assistenziali anche negli aspetti piu’ basilari: in un primo resoconto, stilato tra il 2010 ed il 2011 dopo aver ascoltato la testimonianza di oltre 164 familiari, vennero alla luce molteplici casi di pazienti lasciati per ore nelle loro urine o nei loro escrementi, altri non lavati per un mese, altri ancora costretti a bere acqua da vasi di fiori. In molti casi, cibo e bevande venivano lasciati fuori dalla portata di pazienti allettati e le chiamate per la somministrazione di farmaci antidolorifici venivano sistematicamente ignorate per lungo tempo o del tutto, lasciando i pazienti tra grida di agonia.

I familiari erano spesso costretti a contare sulle proprie forze o su quelle di altri conoscenti per nutrire i propri cari o perfino per pulire i bagni, nel timore che i terrificanti standard igienici potessero favorire l’insorgere di infezioni. Perfino all’ingresso del Pronto Soccorso (A&E), in diverse circostanze non era un triagista, ma un addetto alla reception a filtrare l’afflusso dei pazienti, alcuni dei quali in condizioni critiche. 

Di qui un numero di morti evitabili stimato tra i 400 ed i 1.200 pazienti, cifra contenuta in una bozza del report, che suscitò inzialmente enorme clamore, salvo poi essere successivamente smentita sugli stessi quotidiani inglesi, che riportarono che simili metodologie di statistica inferenziale erano da giudicarsi inattendibili.   

L’assistenza dei pazienti da parte del personale infermieristico era comunque, in generale, gravemente deficitaria non solo per la carenza di personale (il solo A&E lamentava 17 unità in meno rispetto a quelle necessarie), ma anche per la mancanza di compassione dimostrata da alcuni operatori sanitari, in particolare infermieri. Ad altri di loro, va evidenziato, i resoconti parlamentari attribuirono invece il merito di essersi prodigati al massimo, pur in condizioni estremamente difficili . 

Alcuni infermieri, dopo aver denunciato ai loro superiori il caos assistenziale e le gravi problematiche, finirono persino per subire bullismo ed intimidazioni da parte dei colleghi. 

Anche il personale medico non fu esente da mancanze, evidenziate nei report, che dimostrarono come spesso era presente un solo junior doctor (sono così definiti nel regno Unito tutti i medici che non hanno completato il loro curriculum di formazione e specializzazione) di notte per coprire Dipartimenti con numerose degenze e che ricevevano la loro formazione da infermieri esperti, piuttosto che essere supervisionati da altri medici. 

Fu proprio sugli infermieri, comunque, che la scure dell’inchiesta e del conseguente scandalo si abbatté con particolare severità, portando, come già scritto all’inizio dell’articolo, all’istituzione di indagini disciplinari per diversi di loro. I managers, che pure venivano additati nei Report come I principali responsabili del disastro assistenziale, avendo non solo fallito nella pianificazione organizzativa (nel 2006/07 tagliarono 10 milioni di sterline dal budget, nello sforzo di trasformare l’Ente in Foundation Trust), ma anche nel rispondere alle preoccupazioni degli operatori ed alle lamentele dei pazienti e delle loro famiglie, furono invece inizialmente travolti dall’ondata delle polemiche, ma in tempi successivi vennero promossi ad altri incarichi all’interno dell’NHS.

Il Presidente del Foundation Trust Toni Brisby presentò infatti le proprie dimissioni e l’amministratore delegato Martin Yeates fu sospeso, ma a stipendio pieno. Quest’ultimo, in particolare, rifiutò sempre di rispondere alle domande delle commissioni d’inchiesta, salvo poi venire nominato, nel 2012, amministratore delegato (chief executive) dell’Impact Alcohol and Addiction Services, Ente governativo incaricato delle politiche di lotta alle dipendenze. 

Sir David Nicholson (nella foto), amministratore delegato del West Midlands Strategic Health Authority, l’autorità regionale che controllava anche il Mid Staffordshire NHS Foundation Trust, venne invece promosso a capo dell’NHS England del 2011. 

Dopo un’inchiesta della Polizia protrattasi fino al 2016, comunque, non furono trovate evidenze tali da chiedere l’instaurazione di un procedimento penale per gli operatori sanitari od I managers dello Stafford Hospital. 

Il Mid Staffordshire Trust venne invece posto sotto amministrazione nel 2014, anche per effetto del deficit di bilancio che fece seguito alle inchieste ed ai risarcimenti. Il costo delle compensazioi alle famiglie dei pazienti ammonto’ infatti ad 1,1 milioni di sterline. 

Lo Stafford venne declassato a County Hospital (ospedale di contea, l’equivalente del nostro ospedale di comunità) e posto sotto l’egida di un altro Trust. 

Oggi il Mid Staffordshire NHS Foundation Trust non esiste più. 

L’eco degli eventi collegati al Mid Staffs scandal è invece ben presente nella memoria di tutti gli operatori sanitari inglesi, dei managers NHS e di tutti I cittadini, come sconvolgente lezione di malasanità, che si spera non debba mai più ripetersi.  

La vicenda ha infatti portato all’introduzione di numerosi cambiamenti nell’organizzazione dell NHS, che da allora ha iniziato ad attribuire maggiore considerazione al feedback dei pazienti e dei familiari, introducendo il “friends and family test”, ed ha reso molto piu’ restrittivi i controlli sulle strutture da parte del CQC, Care Quality Commission, dando vita ad un sistema di rating delle stesse. I budget governativi stanziati nella sanita’ sono stati inoltre potenziati, pur permanendo croniche carenze organiche su tutto il territorio nazionale. Lo scandalo ha inoltre portato alla luce il “duty of candour”, ovvero l’obbligo, da parte di un alto dirigente di una struttura ospedaliera, di fornire risposta scritta a lamentele concernenti errori che hanno originato un danno alla salute del paziente.       

Per chi volesse approfondire, esiste un archivio web ufficiale, contenente tutti i documenti relativi alle inchieste. Lo trovate qui: 

http://webarchive.nationalarchives.gov.uk/20150407084003/http://www.midstaffspublicinquiry.com/

The Medical Futurist: 10 modi in cui la tecnologia sta cambiando la cura della salute.

Bertalan Mesko è un genetista ungherese, docente universitario presso il Semmelweis Institut di Budapest. E’ però anche e soprattutto un appassionato di tecnologie digitali e tiene conferenze sul tema in tutto il mondo. Considero la sua pagina Facebook ed il suo sito, The Medical Futurist (trovate il sito a questo link: http://medicalfuturist.com/), i più aggiornati, completi e visionari nel mondo di Internet. La presenza sui social media, tuttavia, costituisce solo una parte del suo straordinariamente versatile e dinamico impegno di questo scienziato, nel campo delle tecnologie digitali per la cura della salute.

Bertalan Mesko scrive in inglese. Ho avuto pertanto la folle idea di inviargli un messaggio, chiedendogli il permesso di tradurre i suoi articoli in italiano. La sua risposta è stata di una semplicità disarmante: “Naturalmente, grazie“.

Nasce così, da stasera, un nuovo filone del blog: di tanto in tanto tradurrò per voi articoli tratti da The Medical Futurist, selezionandoli tra quelli che considero più interessanti.

 

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Inizierò con un articolo che ritengo un manifesto programmatico non solo di The Medical Futurist, ma del futuro della medicina: 10 modi in cui le tecnologie digitali stanno rivoluzionando l’healthcare, temine che a me piace tradurre con “cura della salute” piuttosto che con “assistenza sanitaria”.

Mi auguro che la lettura di questo articolo vi appassioni tanto quanto me, nonostante l’enorme sforzo prodigato (non immaginavo davvero!) per rendere molte espressioni e termini dell’inglese scientifico accettabili e comprensibili nella nostra lingua.

Cliccando il seguente link http://medicalfuturist.com/ten-ways-technology-changing-healthcare/ , potrete leggere l’articolo originale.

Siate coraggiosi, curiosi ed informati!

Avete il timore che i robots prenderanno il posto di infermieri, medici ed altri professionisti della sanità? Siete terrorizzati dall’idea che l’intelligenza artificiale controllerà il mondo entro un paio d’anni? Avete incubi di bambini ed adulti dipendenti dalla realtà virtuale, persi nel loro mondo dei sogni? Sostenere un test genetico vi incute paura, perché potrebbe rivelare il giorno della vostra morte?

Queste sono tutte mezze verità, false notizie ed altre immaginarie distopie. In altri e più eleganti termini: fatti alternativi riguardo al futuro della medicina. In ogni caso, hanno tutti una cosa in comune: la paura del posto sconosciuto chiamato futuro e di quello che potrebbe riservarci.
Tuttavia, non possiamo fermare il progresso tecnologico, non importa quanto inquietante possa al momento sembrare il futuro; prima o poi, ci renderemo conto che intere parti della nostra vita sono state trasformate attraverso svariate tecnologie digitali.
Pertanto, il nostro compito, al momento, consiste nel fronteggiare le nostre paure del futuro con coraggio; di rivolgerci alle tecnologie con mente aperta e di prepararci per il mondo che cambia con la massima conoscenza possibile.

Tecnologia ed esseri umani mano nella mano per una migliore cura della salute.

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Credo, in tutta onestà, che questa sia la sola via che ci si prospetta. La tecnologia può solo aiutare e migliorare le nostre vite, se rimaniamo sulle sue spalle e siamo sempre (almeno) due passi avanti a lei . Se seguiamo questa regola, tuttavia, la collaborazione tra esseri umani e tecnologia potrebbe dar vita a risultati straordinari.
Nella medicina e nell’assistenza sanitaria, la tecnologia digitale potrebbe aiutare a trasformare in (economicamente, n.d.T.) sostenibili sistemi sanitari che attualmente non lo sono, bilanciare il rapporto tra medici e pazienti, fornire soluzioni più economiche, più veloci e più efficaci – le tecnologie potrebbero aiutarci a vincere la battaglia contro il cancro, l’AIDS o l’Ebola – e potrebbero, più semplicemente, farci avere individui più sani in comunità più sane.
Come dice il proverbio, tuttavia, bisogna essere padroni della propria casa, quindi vale la pena iniziare “il futuro” attraverso il miglioramento della nostra salute attraverso le tecnologie digitali, così come cambiare il nostro atteggiamento verso il concetto di salute in quanto tale e verso la medicina e la cura della salute in generale.

Come si traduce tutto questo nella pratica? Vediamo dieci modi in cui la tecnologia sta trasformando la cura della salute!

1. INTELLIGENZA ARTIFICIALE.

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Credo che l’intelligenza artificiale abbia il potenziale di ridisegnare completamente la cura della salute. I suoi algoritmi sono in grado di registrare dati medici, di elaborare piani di assistenza o di realizzare farmaci in modo più veloce di ogni soggetto presente di ogni attore della scena dei servizi sanitari. Atomwise usa supercomputers che estrapolano terapie da un database di struttre molecolari. L’anno scorso, questa start-up ha lanciato una ricerca virtuale per farmaci sicuri e già esistenti che potessero essere ridisegnati per trattare il virus Ebola. Ne hanno trovato due, indicate dall’intelligenza artificiale dell’azienda, che potrebbero ridurre in modo significativo l’infettività del virus. Immaginate quali orizzonti si prospettano per l’umanità, se i primi impieghi dell’intelligenza artificiale generano scoperte così sorprendenti!

2) REALTA’ VIRTUALE.
La realtà virtuale sta cambiando le vite di pazienti e clinici nello stesso modo. In futuro, potreste assistere ad interventi chirurgici come se steste manovrando il bisturi, oppure potreste viaggiare in Islanda o verso casa, mentre siete distesi in un letto di ospedale. Embodied labs ha creato “We are Alfred” (“Noi siamo Alfred”, n.d.T.) usando la VR (realtà virtuale, n.d.T.) per mostrare a giovani studenti di medicina che cosa significa invecchiare. Tutti possono essere un ipotetico Alfred per 7 minuti, e sperimentare che che cosa significa essere un uomo di 74 anni con difficoltà audio – visive.
L’obiettivo finale degli sviluppatori è di superare lo scollegamento tra giovani medici e pazienti anziani, dovuto all’enorme differenza di età.
Promuovere empatia tra chi presta assistenza ed i pazienti è molto più facile quando si possono vedere le cose dalla prospettiva di questi ultimi.

3) REALTA’ AUMENTATA.

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La realtà aumentata differisce dalla realtà virtuale per due aspetti: gli utenti non perdono contatto con la realtà e mette a disposizione informazioni entro la portata visiva nel modo più veloce possibile.
Queste caratteristiche distintive candidano la realtà aumentata al ruolo di forza trainante nel futuro della medicina, sia dal lato dei prestatori di assistenza che da quello dei riceventi.
Nel caso dei professionisti sanitari, potrebbe aiutare studenti di medicina a prepararsi meglio per operazioni reali, tanto quanto rendere in grado i chirurghi di accrescere le loro capacità.
Per esempio, Medsights Tech ha sviluppato un software per studiare la fattibilità di usare realtà aumentata per creare accurate ricostruzioni tridimensionali di tumori. La complessa tecnologia di ricostruzione dell’immagine, in buona sostanza, consente ai chirurghi una visione a raggi x, ma senza alcuna esposizione a radiazioni ed in tempo reale.
Nel caso dei pazienti, la realtà aumentata potrebbe consentire ai pazienti di descrivere i loro sintomi più accuratamente od alle compagnie farmaceutiche di fornire informazioni sui farmaci in un modo più innovativo ai pazienti.

4) DISPOSITIVI DI TRACKING, INDOSSABILI E SENSORI PER LA CURA DELLA SALUTE.

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Dal momento che il futuro della medicina è strettamente connesso all’empowerment (potenziamento della conoscenze, n.d.T.), così come al prendersi cura, da parte degli individui, della propria salute attraverso le tecnologie, non posso trascurare dalla mia selezione health trackers (lett. tracciatori di salute, n.d.T.), indossabili e sensori.
Si tratta di straordinari dispositivi che consentono di conoscere meglio se stessi e di riprendere il controllo delle nostre vite.
Non importa se vorresti gestire meglio il tuo peso, i tuoi livelli di stress o le tue capacità cognitive o raggiungere una generale condizione di benessere ed energia, è possibile elencare un’ampia gamma di dispositivi indossabili, iniziando da Fitbit Surge per il fitness tracking, attraverso il Pebble Time, e Sleep As Android per il tracciamento del sonno, oppure la Muse headband per rafforzare la meditazione.

5) TRICORDER MEDICO.

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Parlando di gadgets e soluzioni immediate, viene subito in mente il grande sogno di ogni professionista sanitario: quello di possedere un dispositivo onnipotente, con cui puoi diagnosticare ed analizzare ogni patologia. Si è perfino materializzato – anche se solo sullo schermo – come il medical tricorder di Star Trek. Quando il Dottor McCoy impugnava il suo tricorder a sottoponeva a scansione il paziente, il dispositivo portatile e maneggevole elencava segni vitali, altri parametri, ed effettuava una diagnosi. Era il coltellino svizzero per i medici.
Anche i prodotti atualmente disponibili (ad ese. Viatom CheckMe) sono un po’ lontani dal tricorder, ci arriveremo presto. Assisteremo a smartphones con microscopi ad alto potere di ingrandimento, per esempio, che analizzano campioni di tampone e fotografano lesioni cutanee. I sensori potrebbero individuare anomalie nel DNA, oppure anticorpi o specifiche proteine. Un naso elettronico, una sonda ultrasonica, quasi qualunque oggetto di cui oggi disponiamo potrebbe essere collegato ad uno smartphone e potenziare le sue caratteristiche. Dobbiamo essere pronti a questo!

6) SEQUENZIAMENTO DEL GENOMA.

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L’intero Human Genome Project costa approssimativamente 2.7 billioni di dollari per il Governo degli Stati Uniti, il che rappresenta una somma di denaro follemente enorme. Specialmente se si considera che nel Gennaio del 2017 il gigante del sequenziamento del DNA Illumina ha rilevato un nuovo macchinario con il quale la compagnia si aspetta un giorno di sequenziare l’intero genoma per meno di 100 dollari. Questo significherebbe che si potrebbe avere un test genetico più economico di un generale test ematico, i cui prezzi variano da 10 a 150 dollari.
Da far scoppiare la testa!
Ed ha un potenziale enorme! Potreste arrivare a conoscere preziose informazioni riguardo la vostra sensibilità ai farmaci, a condizioni cliniche multifattoriali o monogeniche e perfino la vostra storia familiare. Ci sono inoltre molte discipline che struttano i vantaggi del sequenziamento del genoma, come la nutrigenomica, che incrocia nutrizione dietetica e genomica. Alcune compagnie come la start-up con sede in California Habit offrono diete personalizzate basate sui codici genetici. Oppure possiamo considerare la Athletigen Technology Inc., con sede in Nuova Scozia, la cui attività fonde sport e genomica, puntando a raccogliere informazioni sul DNA degli sportivi per migliorare le loro performance, la condizione fisica e la sicurezza.

7) RIVOLUZIONARE LO SVILUPPO DEI FARMACI.

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Attualmente, il processo che porta allo sviluppo di nuovi farmaci è troppo lungo e costoso. Ci sono comunque soluzioni per migliorarlo, che variano dall’intelligenza artificiale a migliori procedure organizzative. La più rivoluzionaria è il concetto dei trials in silicio. Si tratta di simulazioni individualizzate al computer, usate nello sviluppo o nella valutazione a fini regolamentari di un farmaco, dispositivo od intervento (di promozione, miglioramento o stabilizzazione di una condizione clinica, n.d.T.). Mentre trials clinici completamente simulati non sono fattibili basandosi sulle attuali tecnologie e comprensione della biologia, il loro sviluppo potrà apportare enormi benefici agli attuali trials in vivo, e la ricerca (in questo campo, n.d.T.) prosegue. Immaginate se potessimo testare migliaia di nuovi potenziali farmaci su miliardi di pazienti virtuali in pochi minuti! Potremmo raggiungere questo stadio nel prossimo futuro.

8) NANOTECNOLOGIA.

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Viviamo nell’alba dell’era della nanomedicina. Credo che nanoparticelle e nanodispositivi presto fungeranno da precisi sistemi di rilascio dei farmaci, da metodi di trattamento del cancro o da minuscoli chirurghi. Ad esempio, ricercatori del Max Planck Institute hanno condotto esperimenti con robots eccezionalmente microscopici – più piccoli di un millimetro – che letteralmente navigano attraverso i fluidi corporei e potrebbero essere usati per rilasciare farmaci od altri trattamenti medici in un modo altamente calibrato. Questi microbots, simili a pettini, sono designati per nuotare attraverso fluidi non newtoniani, come la vostra circolazione sanguigna, oppure attraverso il sistema linfatico, oppure sui fluidi scivolosi presenti sulla superficie dei vostri globi oculari.

9) ROBOTICA.

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Uno dei settori più eccitanti ed in rapida crescita nella cura della salute è la robotica: gli sviluppi variano da robot assistenti a robot chirurghi fino alla farmabotica, ai robot disinfettanti od agli esoscheletri. Con l’aiuto di questi dispositivi persone paralizzate possono camminare, oppure si possono riabilitare pazienti con ictus o danni alla spina dorsale. Possono aumentare la forza, in modo da consentire ad un infermiere di sollevare un paziente anziano.
Alcuni robots assistenti possono fungere da partner sociale, in modo da alleviare la solitudine o trattare disturbi psichiatrici.
I robots Jibo, Pepper, Paro e Buddy sono tutti esempi esistenti. Alcuni di loro hanno anche sensori tattili, telecamere e microfoni.
Pertanto, i loro proprietari possono ingaggiare conversazioni con loro, chiedere loro di trovare un grande concerto per quella serata o semplicemente venire ricordato di assumere i farmaci.

10) STAMPA IN 3D.

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La lista degli oggetti stampati con successo in 3D dimostra il potenziale che questa disciplina offre per il futuro della medicina. Si può scoprire che ci sono almeno 12 (!) modi in cui le stampanti 3D possono essere utilizzate nella cura della salute, spaziando dalla stampa dei tessuti con vasi sanguigni, fino alle ossa ed alla pelle sintetica. Si possono già trovare stampanti 3D in ogni angolo del mondo. Not Impossible Labs, con sede a Venice, California, ha portato stampanti 3D in Sudan, dove il caos della guerra ha lasciato molte persone con arti amputati.
Il fondatore dell’organizzazione, Mick Ebeling, ha formato gente del posto, insegnando loro come adoperare i macchinari, creare arti a misura del paziente e ad adattare (ai loro corpi, n.d.T.) queste nuove protesi, veramente economiche.

Cibo per la mente.

Viviamo davvero tempi rivoluzionari per la cura della salute. Siate quindi coraggiosi curiosi e raccogliete informazioni (per esempio qui https://leanpub.com/themostexcitingnewsfromdigitalhealth , riguardo agli ultimi sviluppi, così da avere un quadro più chiaro di dove ci stiamo dirigendo nel 2017).

Translation/traduzione: courtesy of The Medical Futurist.

 

Un’infermiera inglese in prima linea nella lotta contro i ciarlatani e le informazioni ingannevoli sul cancro.

Le informazioni menzognere su patologie e trattamenti, sostenute da ciarlatani paladini di pseudoscienze, spesso dilagano su Internet a macchia d’olio. Per contrastarle, bisogna combatterle sul loro stesso terreno, ovvero online, con il contributo decisivo dei professionisti della sanità.

Il Macmillan Cancer Support, la charity (associazione di beneficenza) più famosa nel Regno Unito per la lotta contro il cancro, ha di recente designato un’infermiera, Ellen McPake, per il ruolo di specialista della comunicazione digitale, incaricandola di fornire informazioni e riferimenti attendibili ai pazienti che cercano risposte alla loro diagnosi di cancro.

Potrebbe essere questa la soluzione del futuro? 

Quella che segue è una libera traduzione dell’articolo pubblicato sulla versione online della rivista del sindacato RCN, Nursing Standard, ma al termine ho riportato il link all’articolo originale, per chi volesse leggerlo anche in inglese. 

La Macmillan ammonisce i pazienti riguardo false informazioni ed ingannevoli cure contro il cancro presenti online. 

Una charity attiva nella lotta contro il cancro ha creato un ruolo di infermiere specialista della comunicazione digitale, per aiutare a combattere false informazioni, nonché diagnosi contro il cancro e cure inaffidabili ottenute online.

Ellen McPake, un’infermiera specialista in oncologia con più di 35 anni di esperienza, ha iniziato ad Agosto il nuovo ruolo presso la Macmillan Cancer Support. La sua attività consiste specificamente nel rispondere online a domande di pazienti affetti da cancro, sulle piattaforme di social media della Macmillan e sulla sua community online. 

La charity è preoccupata che alcuni pazienti vadano via dagli appuntamenti senza le informazioni di cui hanno bisogno e che si rechino su siti inaffidabili, che potrebbero lasciarli inutilmente spaventati o metterli a rischio di provare cure ingannevoli. 

Cure di ciarlatani.

Ms McPake ha fornito un esempio del risultato della ricerca “cure per il cancro” online, che restituisce pagine di informazioni relative all’assunzione di bicarbonato di sodio. 

Ha poi affermato: “C’è un sacco di cattiva informazione lì fuori. Stiamo provando a dire di di essere consapevoli che non tutto quello che si trova online è necessariamente vero. 

Dal momento che sempre più persone cercano informazioni riguardo al loro cancro online, vogliamo che sappiano che charities come la Macmillan sono disponibili a fornire consigli attendibili sulla loro salute. 

Io sono online per far sì che le persone affette da cancro disoongano di una vera persona a cui fare riferimento online per informazioni riguardo ai sintomi, alla diagnosi di cancro ed al trattamento”. 

I risultati della ricerca.

Una ricerca condotta dalla Macmillan ha scoperto che:

  • Oltre due quinti dei pazienti con cancro cercano informazioni riguardo la loro diagnosi online;
  • Di questi, 1 su 8 ha affermato che si recavano online perché non avevano capito ciò che gli era stato riferito riguardo alla loro patologia;
  • Circa 60.000 Britannici con cancro hanno pensato che sarebbero morti dopo aver cercato informazioni online riguardo la loro patologia. 

Mondo digitale.

Ms McPake, che ha precedentemente lavorato per la linea di supporto telefonico della Macmillan, ha già tenuto alcune sessioni di domande e risposte su Facebook.

“Le persone hanno reagito molto positivamente. La prima sessione ha avuto oltre 50.000 visualizzazioni e molte condivisioni e commenti positivi. Il mondo digitale si sta espandendo e sempre più persone stanno cercando nuovi modi per connettersi e trovare risposte”.

Il joint chief medical officer (equivalente del Direttore Sanitario, n.d.A.) del Macmillan, Jane Maher, ha affermato: “È completamente naturale che le persone vogliano cercare su Google la loro diagnosi, quando viene loro comunicata la diagnosi di cancro. Ma con innumerevoli statistiche non verificate, notizie fasulle e storie terrificanti su Internet,  finire sul sito sbagliato può essere realmente preoccupante”.

Trattamenti consolidati.

Questo può lasciare le persone a far dipendere le proprie speranze da pericolose cure di ciarlatani, od a sottostimare il beneficio di trattamenti consolidati. La charity sta inoltre prevedendo che i professionisti sanitari ricevano maggiore formazione su quale informazione digitale sia disponibile,  in modo da indirizzare i pazienti su siti verificati. 

La Professoressa Maher ha aggiunto: “Quando qualcuno apprende di avere il cancro, è realmente importante che i professionisti sanitari spieghino ai pazienti in modo esauriente il significato della loro diagnosi ed il supporto disponibile. Devono inoltre essere in grado di indirizzare i pazienti su risorse online verificate, così da non lasciarli esposti ad informazioni scorrette od ingannevoli”.

https://rcni.com/primary-health-care/newsroom/news/macmillan-warns-patients-about-false-information-and-fake-cancer-cures-online-121671?utm_source=Adestra