Nei prossimi mesi l’RCN, il principale sindacato infermieristico inglese, celebrerà con una serie di eventi la diversità nel nursing, ovvero esplorera’ le esperienze vissute, all’interno della comunità infermieristica, non solo dagli infermieri appartenenti alle cosiddette “minoranze etniche ( in particolar modo quella africana), ma anche dai colleghi LGBT (acronimo che sta per Lesbian – Gay – Bisexual – Transgender).
Molti sono i passi che devono essere ancora compiuti affinché l’accettazione di queste comunità spesso tristemente definite” minoranze”, diventi riconoscimento e infine normalità, specie nel nostro Paese.
Dal mio punto di vista, credo che il problema sia di chi se lo pone: la serietà e la professionalità, specie (ma non solo) in un ambiente di lavoro, sono del tutto dissociate dall’origine etnica o dall’orientamento sessuale. Chiunque si fondi ancora sui vecchi pregiudizi e rifiuti, per esempio, l’assistenza di un infermiere omosessuale (o non gli offra il posto di lavoro in base a ciò) non farà altro che privarsi deliberatamente di una possibilità.
Quella di poter crescere insieme verso un futuro migliore.
Anticipando le iniziative dell’RCN, ho approfittato dell’amicizia con Andrea Fulgenzi, infermiere pescarese trapiantato a Manchester che ha fatto coming out da tempo, per chiedere la sua opinione e farmi raccontare le sue esperienze sul tema.
Lo ringrazio pertanto della sua collaborazione e vi lascio alla sua testimonianza.
“Essere infermieri gay in Italia non è attualmente facile per molteplici motivi: una forte presenza cattolica nel nostro Paese sicuramente ha imposto nella mentalità popolare l’immagine della famiglia tradizionale; uno stereotipo misogino rende ancora oggi difficile eradicare la figura dell’infermiera sexy (molto frequente in alcuni film degli anni ’70); è poi diffusa una cultura “machista” che toccò il suo apice durante il periodo fascista.
Troppo spesso si sentono atti di aggressione e violenza omofobica e transfobica a danno di tutta la comunità LGBT, atti di bullismo nelle scuole a danno di ragazzi e ragazze che vengono derisi e spesso indotti ad atti di autolesionismo, più o meno gravi.
Molti sono stati i casi di licenziamenti, in vari settori, di persone LGBT solo in base all’orientamento sessuale. A maggior ragione nell’ambito della sanità, luogo ancora più delicato in cui ci si deve fidare delle persone che si prenderanno cura di te.
La professione infermieristica è tradizionalmente stata rivolta al sesso femminile; anche in Italia, solo dal 1971 gli uomini sono stati autorizzati a potersi iscrivere al vecchio corso regionale, poi divenuto Diploma Universitario ed infine corso di laurea. Credo che negli ultimi anni vi sia stato un notevole avvicinamento del mondo maschile alla professione infermieristica.
I tempi avanzano e cambiano e la società si evolve (anche se non dovunque).
Spesso e volentieri, però, in Italia l’abito fa il monaco.
Il pregiudizio e, spesso, l’ignoranza tendono ad dequalificare le persone LGBT come inferiori e inaffidabili, come se il loro orientamento sessuale incidesse sulla qualità delle cure che dovrebbero dare ai loro pazienti. Un infermiere gay, in Italia, avrebbe molte difficoltà sia a farsi accettare dai suoi colleghi (medici e altri infermieri) o peggio ancora dai propri pazienti.
A parte qualche battutina sciocca nata e morta subito, tuttavia, non ho mai avuto particolari problemi sul posto di lavoro, mentre in una circostanza (fuori dal contesto lavorativo) sono riuscito a sfuggire ad un tentativo di aggressione, peraltro da parte di ragazzi che conoscevo.
A tal proposito, credo però che in caso di aggressione, verbale o fisica, un infermiere LGBT in Italia non sarebbe a mio parere minimamente supportato e difeso, sia da un punto di vista fisico, sia da un punto di vista legale (penso alla proposta di legge contro l’omo-transfobia che ancora non viene approvata da anni ).
In inghilterra la situazione è decisamente diversa. Durante la compilazione dei moduli per un colloquio di lavoro, tra i vari campi, viene richiesto ( solo se uno vuole scriverlo, non è obbligatorio) di dichiarare il proprio orientamento sessuale, in quanto l’Equality Act del 2010 tutela tutti i dipendenti da ogni tipo di discriminazione ( razziale, sessuale, culturale, religiosa, di genere, di orientamento sessuale), ma anche in caso di aggressione (verbale o fisica).
Gli ambienti di lavoro sono totalmente friendly; onestamente, a nessuno importa se uno sia gay o meno; ciò che conta è svolgere con serietà e professionalità il proprio lavoro. Nel mio caso, presso il CMFT (Central Manchester Foundation Trust), esiste addirittura un gruppo LGBT di dipendenti ospedalieri che si riuniscono bimestralmente per parlare delle attività della comunità e degli eventi cittadini, tra cui l’evento più importante dell’anno, ovvero il Manchester Pride.
Durante questa manifestazione, nel corteo che si svolge nel centro città, ci sono anche rappresentanti dell’NHS a supporto del Pride: medici, infermieri, paramedici delle ambulances; tutte le figure professionali, LGBT e non, sfilano unite per mostrare il proprio orgoglio di poter essere liberi e se stessi nel proprio posto di lavoro. Essere infermieri gay in UK, pertanto, non è un problema, e credo mai lo sarà. Tutti i miei capi, i miei colleghi e le altre figure professionali del mio reparto sanno che sono gay, ma onestamente non gliene importa più di tanto. All’inizio della mia esperienza lavorativa qui in UK, ho riflettuto molto (ed ero anche molto intimorito) sul pensiero di fare coming out; in verità diciamo che, nel mio caso, non ci vuole molto a capire il mio orientamento sessuale, ma quando l’ho raccontato ai miei colleghi, o quando i miei capi l’hanno saputo, la risposta è stata neutrale. Lo scorso anno, in occasione del Pride 2016 mi ero anche ossigenato i capelli, diventando biondo platino. Anche lì, la reazione è stata quasi di indifferenza, salvo poi ricevere complimenti per il fatto che con i capelli biondi stavo bene, a detta di tutti.
Per cui, anche da un punto di vista socio-culturale, essere infermieri e gay in UK, è molto meglio che in Italia (non che l’ NHS sia perfetto, sia ben chiaro; molte sono le cose che andrebbero riviste, ma cerco di non lamentarmi e di prendere ciò che di buono ha da offrire).
La Church Of England (quella che in Italia è definita Chiesa Anglicana, N.d.A.) mi appare poi molto più laica e meno bacchettona rispetto alla Chiesa Cattolica Romana.
Essendo infine l’UK un melting pot di religioni e culture totalmente differenti, l’essere gay è solo una caratteristica in più, e non un difetto o una macchia di cui vergognarsi”.