Mese: luglio 2017
Adesso dico la mia. Perché il caso di Charlie dimostra che l’opinione pubblica è facilmente condizionabile ed usa due pesi e due misure.
Somministrare farmaci senza prescrizione è possibile: i Patient Group Directions inglesi.
I PGDs sono infatti redatti e validati da commissioni di medici, farmacisti e rappresentanti della categoria di professionisti sanitari maggiormente coinvolta nella somministrazione di uno specifico farmaco (ad esempio gli infermieri) nell’ambito del Trust (che può comprendere più di un ospedale) e periodicamente aggiornati sulla base di linee guida ed evidenze scientifiche, in genere ogni 3 anni.
Una rivoluzione nella terapia oculare sta partendo dall’Italia – A revolution in ocular therapy is starting from Italy.
La cheratite neurotrofica è una rara malattia degenerativa della cornea.
È associata ad una compromissione del nervo trigemino, che innerva la cornea, l’organo con la più elevata densità di fibre nervose e recettori del dolore nel corpo umano.
Diverse malattie degenerative (ictus, sclerosi multipla, diabete) o procedure oculari (trattamenti laser, chirurgia) e anche bruciature chimiche o comuni malattie infettive oculari, in particolare la cheratite da herpes (simplex o zoster), sono in grado di danneggiare il nucleo pontino del trigemino, da dove l’innervazione sensoriale corneale inizia.
Le alterazioni nell’innervazione corneale provocano una riduzione o assenza della sensibilità alla superficie oculare; quindi, essendo la zona “anestetizzata”, i pazienti non si lamentano generalmente per il dolore o di altri sintomi, ma solo di una vista offuscata.
Ciò rende la diagnosi e il trattamento estremamente impegnativi, perché i pazienti possono recarsi dallo specialista solo quando la superficie oculare è già danneggiata in modo permanente.
Infatti, la cheratite neurotrofica è caratterizzata anche da lesioni spontanee della cornea, che la rendono più incline ad infezioni gravi. Queste lesioni sono in grado di evolversi, nella fase più avanzata della patologia, in perforazioni o nella liquefazione della cornea, portando ad una completa perdita della vista.
Il trattamento era finora sintomatico e basato sulla gravità della malattia.
Poteva essere costituito da lubrificanti o gocce antibiotiche per preservare l’integrità della superficie o in procedure chirurgiche, come i flaps congiuntivi o il trapianto di membrana amniotica, che possono rallentare l’avanzata della patologia, ma non sono comunque in grado di aumentare la funzione visiva o ripristinare la sensibilità corneale.
Da qualche settimana, un nuovo farmaco, denominato Oxervate, ha ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio per il mercato italiano e sta aspettando l’approvazione in altri paesi europei per la cura della cheratite neurotrofica da moderata a grave.
La sostanza attiva di Oxervate, disponibile come collirio oculare e distribuito dal produttore italiano Dompé, è il cenegermin, che costituisce una forma ricombinante del fattore di crescita del nervo umano e stimola la rigenerazione e la sopravvivenza delle cellule epiteliali dell’occhio.
Oxervate costituisce un prodotto rivoluzionario non solo per la farmacologia oculare, essendo il primo farmaco basato sul fattore di crescita del nervo umano (NGF), una piccola proteina (tecnicamente un neuropeptide) che è coinvolto nella crescita, nella manutenzione e proliferazioni di alcuni neuroni. Il NGF è stato identificato negli anni Cinquanta dalla ricercatrice italiana Rita Levi Montalcini, che ha vinto il premio Nobel nel 1986 grazie a questa scoperta.
Altre sperimentazioni cliniche stanno attualmente testando l’efficacia del NGF per altre comuni malattie oculari che coinvolgono fibre nervose, come il glaucoma, l’edema maculare cistoideo e la retinite pigmentosa.
L’NGF sta regalando grandi aspettative ai ricercatori e una nuova speranza a migliaia di pazienti in tutto il mondo.
Una piccola proteina, una ragione gigantesca di orgoglio per tutti gli scienziati italiani.
Neurotrophic keratitis is a rare degenerative disease of the cornea.
This makes the diagnosis and the treatment extremely challenging, because patients may seek for medical advice when the ocular surface is already permanently damaged.
In fact, neuropathic keratitis is also characterized from spontaneous corneal breakdowns, that make the cornea more prone to severe infections. These lesions can evolve, in the most advanced stage of the disease, in corneal perforations or melting, leading to a complete loss of vision.
Treatment was so far symptomatic and depending on the severity of the disease.
It could consist of lubricants or antibiotic drops to preserve the surface integrity, or of surgical procedures, like conjunctival flaps or amniotic membrane transplantation, that can slow the progression of the condition, but cannot increase, anyway, the visual function or restore the corneal sensitivity.
Since few weeks, a new drug meant to cure moderate and severe neurotrophic keratitis, named Oxervate, has received the marketing authorization for the Italian market and is waiting for approval for other european countries.
The active substance of Oxervate, which will be available as eye drops solution and will be distributed from the Italian manufacturer Dompé, is named cenegermin, that is a recombinant form of the human nerve growth factor and stimulates the corneal epithelium regeneration and survival.
The NGF was identified in the Fifties from the Italian researcher Rita Levi Montalcini, who won the Nobel Prize in the 1986 due to this discovery.
La verità dei fatti nel caso di Charlie Gard – aggiornamenti
Strane visioni alla fine di un turno
Come in una fabbrica, appunto.
In più, tali outcomes devono essere erogati entro il limite delle quattro ore dall’accesso del paziente.
Il target delle 4 ore deve essere garantito in almeno il 95% dei casi, come indicato già a partire dal 2010 dal Ministero della Salute inglese (Department of Health) per tutti gli Emergency Departments.
Bisogna avere, inoltre, l’ancor più elevata abilità di garantire lo stesso eccellente servizio a tutti, anche se si dovesse trattare, come affermava il grande Totò, di “quisquilie e pinzillacchere”.
Non è solo una questione di mantenere alta la reputazione dell’ospedale, ma anche la propria.
Meglio così, la stanchezza iniziava a farsi sentire.
Bene, potrebbe essere un problema della retina, oppure un aumento della pressione intraoculare, ma è ancora presto per dirlo.
Ne vedo molti di casi con una simile presentazione.
Ho un po’ di tempo in più da poter spendere per imparare.
Prosegue sostenendo poi che fa sogni in “3D” e qualche volta gli capita di avere la sensazione, quando guarda gli oggetti, di vedere movimenti simili al riavvolgimento di una cassetta VHS.
Di natura maliziosi.
Sarei disonesto con me stesso, se non lo pensassi.
D’altronde abbiamo numerosi accessi impropri in A&E, diversi vengono rimandati ogni giorno a casa, dal medico di famiglia o dal farmacista, con il sistema dell'”active triage”, in uso nel mio come in altri ospedali inglesi (l’esempio più celebre in tempi recenti è quello dell’ospedale di Romford, di cui ho già scritto).
Cerca di trasmettermi una percezione che lo ha portato in una tarda sera fino ad un Pronto Soccorso specialistico.
Se fossero, in ogni caso, espressione di una patologia psichiatrica agli esordi?
Se si fosse solo spiegato in maniera, è il caso di dirlo, troppo “colorita”?
Quante persone sono state derise o sottovalutate, per vedersi poi diagnosticata una patologia anche di grave entità, magari quando era troppo tardi per trattarla?
Da professionisti sanitari, occorre basare la scienza della propria attività sulla comunicazione con il paziente.
Quest’ultima, però, è spesso imperfetta, per cui il rischio è quello di erogare prestazioni per rispondere a domande di salute inesistenti, ma anche il contrario; ovvero, può accadere di trascurare problemi reali.
Gli spiego quali saranno i successivi passaggi in Pronto Soccorso, lo congedo e lo rimando in sala d’attesa, dove verrà richiamato poco dopo per altri accertamenti.
Trascorre qualche minuto, vado a chiamare il successivo e forse ultimo mio paziente della giornata.
Con la coda dell’occhio lo osservo, si è rimesso la maglietta.
Ha gli occhi chiusi, forse cerca di riposare.
In fondo è tardi, è passata da un po’ anche l’ora di cena.
Non aspetterò di vedere la sua diagnosi, d’altronde non spetta a me accertare se ha davvero un problema oculistico.
In più, sono quasi alla fine del turno.
2017 fuga da Londra: cosa c’è di vero nella crisi del nursing inglese?
“96% di infermieri europei in meno nel Regno Unito a causa del Brexit”.
“Migliaia di infermieri inglesi in fuga dall’NHS perché sottopagati”.
- il tetto (cap) dell’1% all’incremento annuale dello stipendio di tutti i dipendenti pubblici (inclusi, dunque, anche quelli dell’NHS), imposto sin dal 2010, che ha fatto perdere valore in termini reali allo stipendio di molti infermieri, corroso dall’aumento dell’inflazione (peraltro più bassa che in Italia, visto che nel 2015 e 2016 è stata inferiore all’1% e solo quest’anno è salita al 2.9%). Non è un caso che il cap sia stato oggetto di accesi dibattiti politici durante le recenti elezioni politiche, tanto che Jeremy Corbin, candidato del Labour, il principale partito di opposizione, porta ancora avanti il tema dello “scrap the cap” (elimina il tetto) come uno dei suoi cavalli di battaglia e lo stesso RCN, il principale sindacato inglese, ne ha fatto motivo e slogan delle proteste (incluso uno sciopero generale) programmate per quest’estate;
- lo stop alle bursaries. Bursary significa borsa di studio: la grande maggioranza degli studenti inglesi era infatti retribuita durante gli studi in Infermieristica (un sogno per noi, vero?), incentivo che spingeva anche molti adulti un po’ più attempati ad intraprendere la professione. Scopo della cancellazione delle bursaries era quello di liberare 800 milioni di sterline, da destinare alle assunzioni di personale per coprire le 40.000 vacanze negli organici della sola Inghilterra (a queste si sommano quelle di Scozia, Irlanda del Nord e Galles e quelle di 2.000 paramedici, come scrissi in un precedente articolo). Le bursaries, da un anno, sono concesse in casi molto rari.
Requisiti base, insomma, per i colleghi British.
In effetti, al di là del fatto che il Brexit sarà operativo solo nel 2019 e che il quadro normativo, al momento, è invariato, nei giorni scorsi lo stesso Primo Ministro ha proposto una “carta d’identità” speciale per gli Europei presenti in UK negli anni precedenti al Brexit.
Superare l’IELTS comporta spese e anni di studio e costituisce una barriera piuttosto alta per chi, come gli Italiani (ammettiamolo, per favore, valeva anche per me fino a due anni e mezzo fa) ha una conoscenza dell’inglese generalmente mediocre e scolastica.
Nessun posto lo è.
Lunghi periodi vedono una noiosa alternanza casa – lavoro – casa, lontani dalla famiglia e dagli amici di sempre.
Per giunta, è difficile trovare una camera doppia, in buono stato di manutenzione ed in una zona non troppo decentrata, ad una cifra inferiore alle 600 sterline.
Anche la realtà dei luoghi di lavoro e’ estremamente variegata e non sintetizzabile in verità assolute: a Londra e Manchester l’ambiente di lavoro sara’ fortemente multietnico (cosi’ come la “clientela”), mentre in piccoli centri la quasi totalità dei colleghi e dei pazienti sarà British; le possibilità di integrazione sono legate al singolo contesto, anche se va segnalato un generale atteggiamento di apertura e tolleranza verso gli Italiani, frutto della grande passione del popolo inglese verso la nostra cultura e storia, quella romana in particolare.
Ho letto di isolati episodi di mobbing e razzismo, ma non ne ho vissuti, neppure in terza persona.
I carichi di lavoro risulteranno ovviamente proporzionati alle caratteristiche dell’unità operativa: anche qui, nelle unita’ di medicina o di riabilitazione l’impegno fisico, oltre che mentale, è molto elevato e, per quanto si cerchi di rispettare il rapporto di un infermiere ed un HCA ogni 6-7 posti letto, malattie o licenziamenti possono comprometterlo.
Ogni realtà opera comunque, in generale, ai limiti delle sue capacità, anche in contesti che un collega italiano giudicherebbe a priori “tranquilli”, come nell’ospedale oculistico per il quale lavoro, soprattutto per effetto dell’invecchiamento della popolazione inglese, che ha originato un consistente incremento della domanda di salute negli ultimi anni ed una sofferenza dell’NHS nel fornire servizi adeguati; ma questo e’ un tema su cui ritornerò in futuro.
Le luci ed ombre, i sacrifici e la fatica, gli ambiti di miglioramento e le lacune organizzative, insomma, ci sono anche in UK.
E’ fisiologico, pertanto, che dopo la prima grande ondata si sia registrato un calo anche consistente delle presenze (4.300, secondo un rapporto del partito liberaldemocratico) e che molti infermieri siano tornati in Italia od altri Paesi europei, avendo trovato nuove opportunità di lavoro in patria o semplicemente avendo deciso di concludere la propria esperienza.
Mai, tuttavia, mi sono personalmente sentito emarginato, un “marocchino del sistema sanitario inglese”, come ho letto in un commento su un gruppo Facebook da parte di un’improvvisata quanto superficiale opinionista.
Al pari degli extracomunitari, gli infermieri europei sono una preziosa risorsa, da non sciupare.
Nella peggiore delle ipotesi, rappresentano un investimento su cui i Trust inglesi versano ogni anno cifre consistenti per la formazione e l’inserimento: non si assume per sfruttare o trattare con condizioni di lavoro peggiori dei British perché i lavoratori devono essere trattenuti il più a lungo possibile.
Le opportunità di crescita professionali sono concesse in misura identica a tutti e dipendono quindi esclusivamente dalle proprie capacità e dallo spirito di iniziativa: anche un po’ dalla fortuna, perché no?
Si è tutti parte della stessa comunità infermieristica e se le condizioni di lavoro non piacciono, non occorre passare attraverso la ghigliottina degli obsoleti concorsoni pubblici da 10.000 posti nei palazzetti dello sport: le offerte di lavoro vengono pubblicate quotidianamente dai Trust sul sito NHS jobs. Basta presentare il proprio curriculum vitae, si sostiene un colloquio, ci si trasferisce. Semplice.
Quando mi si chiede se emigrare o meno, non invito a farlo.
Anzi, consiglio piuttosto di pensarci due volte, specie se si ha famiglia e figli. Non posso entrare nel merito delle singole motivazioni, occorre trovare interiormente l’energia per farlo: se questa manca, meglio lasciar perdere, altrimenti si riprepareranno i bagagli dopo pochi mesi.
Da un male (la crisi economica e la disoccupazione) ne è nato però un bene: si aveva bisogno da decenni di un confronto culturale intenso con altre realtà europee, come sta avvenendo ora, non solo in Inghilterra ed Irlanda, ma anche in Germania.
L’emigrazione è pertanto diventata, oltre che necessità, anche motivo di straordinaria crescita ed arricchimento professionale, di cui l’intera comunità infermieristica italiana potrà beneficiare, attraverso contributi – permettetemelo – come quello del mio modesto blog.
Il mio consiglio perciò è: se non avete valide alternative, non esitate a partire.
Magari ve ne pentirete, ma non avrete rinunciato ad una grande opportunità.