Un triste regalo di Natale

Ne vedo tanti. Di molti ricordo i visi, di altri solo i nomi, di altri tutti e due.
Li ricordo perché tornano spesso, anche una volta al mese, ogni mese. Per anni.
Quando la tua retina sta lentamente deteriorando ed hai bisogno di iniezioni nell’occhio per non diventare lentamente cieco, non sempre la risposta al farmaco è così buona da far regredire la tua condizione e migliorare la tua vista, talvolta si tratta solo di combattere e frenare un processo che non ne vuole sapere di essere sconfitto.
Alle volte il peggiore nemico della tua salute è proprio il tuo corpo, e nemmeno tu sai perché.
Molti di loro ci conoscono a loro volta. Ogni tanto (sono molto anziani, bisogna capirlo, l’età media supera gli 80 anni) si ricordano i nostri nomi, che pronunciano più o meno correttamente.
In questi giorni precedenti al Natale ci portano doni per ringraziarci, il più delle volte cioccolatini che accettiamo di cuore ma non possiamo mangiare, ma solo assaggiarne uno ogni tanto, altrimenti finiremmo per sentirci male.
Lui non lo ricordo. Anche il nome non mi ricorda nessuno dei “soliti noti”.
E’ venuto da solo, come tanti. Dimesso nell’aspetto.
Lo chiamo, è il suo turno, Zoppica vistosamente, cammina stentatamente con un bastone.
Ha i segni di un ematoma sullo zigomo ed intorno all’occhio che non deve essere trattato, mi racconta che qualche giorno prima è caduto fuori casa.
Guardo la sua cartella e mentre preparo l’occhio per l’iniezione, anestetizzandolo e poi versando gocce di antisettico, noto che la sua pressione intraoculare è pericolosamente più alta della media.
Gli chiedo se ne fosse consapevole e se ne aveva discusso con il medico, che aveva disposto ulteriori accertamenti presso la Clinica specializzata nel trattamento del glaucoma a breve distanza di tempo.
Mi risponde positivamente.
Capisco che conosce di quale patologia sto parlando, sa che anche questa può condurlo alla cecità.
L’iniezione è rapida, senza complicazioni.
Mentre lo congedo, gli consegno un foglio con il quale prenotare l’appuntamento per la prossima iniezione ed un altro presso la Clinica del glaucoma.
Gli chiedo se ha bisogno di un portantino per essere accompagnato con una sedia a rotelle all’ingresso dell’ospedale, oppure se vuole chiamare un taxi per tornare.
Rifiuta, insiste che provvederà da solo.
Si alza e si avvia all’uscita della stanza, con molta fatica ma determinazione.
Mi guarda per un attimo negli occhi, poi li abbassa dicendomi sommessamente: “Bel regalo di Natale, adesso anche il glaucoma”.
Gli rispondo: “Non necessariamente”. Ma lui ha già aperto la porta, mi saluta e va via.
Mi sale un groppo in gola.

Il mostro nelle lenti a contatto: la cheratite da Acanthamoeba

Scrivendo questo titolo, non è mia intenzione creare facile allarmismo, né tantomeno disincentivare l’uso delle lenti a contatto, che io stesso ho indossato per anni (abusandone spesso), fino a quando la pigrizia ed il fastidio di avere un corpo estraneo nell’occhio hanno prevalso.
Semplicemente, voglio attirare l’attenzione del lettore. 
In realtà, scopo di questo post è incoraggiare un uso responsabile di questo presidio, raccontando i potenziali rischi derivanti dal suo abuso. 
In televisione, talvolta, capita di cambiare canale finendo su trasmissioni che descrivono casi clinici di persone affette da patologie raccapriccianti, spesso contratte in Paesi esotici e causate da organismi che infestano gli organi più disparati del corpo umano, con conseguenze talvolta devastanti. 
L’Acanthamoeba è uno di questi. Ma non si trova solo ai Tropici. 

L’Acanthamoeba è presente dappertutto, praticamente su ogni superficie, ma soprattutto vive e prolifera nell’acqua, anche nei nostri acquedotti. E’ presente in una forma attiva, oppure dormiente (la cosiddetta cisti).

E’un organismo con il quale normalmente conviviamo ed entriamo a contatto, quando ci laviamo, quando nuotiamo, quando beviamo.
In rari casi, tuttavia, può parassitare il nostro organismo, in particolar modo infestando il cervello, dove causa encefaliti letali nel 95% dei casi e la cornea, in cui determina l’insorgenza di cheratiti.
Proprio di queste ultime mi occuperò ora.
Diagnosticare un’infezione da Acanthamoeba costituisce un rebus ed una sfida di grande complessità anche per il migliore degli specialisti, per molte ragioni:
1) la sintomatologia è facilmente confondibile con altre forme di cheratite, soprattutto di origine microbica, per cui possono essere inizialmente prescritti farmaci, come antibiotici e steroidi, che non contrastano la proliferazione di questo microrganismo. Gli steroidi, inoltre, riducono l’infiammazione oculare presente, ma spesso “coprono”, proprio in virtù di questo effetto, l’aggravarsi dell’infezione;
2) l’individuazione di questo organismo nei tessuti della cornea attraverso l’osservazione diretta è estremamente problematica e richiede l’uso di un microscopio specifico, denominato confocale, talmente costoso che in Inghilterra se ne contano solo 4;
3) la determinazione microbiologica della presenza dell’Acanthamoeba nei tessuti può essere effettuata solo con un tampone ed un test (PCR test), che presenta anch’esso dei costi elevati.
Va pertanto considerato che lo specialista richiederà questo test solo in presenza di un sospetto diagnostico, che può essere affievolito proprio dall’uso di steroidi, i quali, come già accennato, riducono la presenza dell’infiammazione nei tessuti oculari, ma non l’infezione;
4) Non esiste, ad oggi, un trattamento farmacologico autorizzato. La terapia è sempre e solo empirica ed “off – label”, ovvero fuori dalle indicazioni previste dal produttore farmaceutico.
Come se non bastasse, alcuni dei farmaci prescrivibili sono efficaci in vitro, cioè in laboratorio, ma per ragioni ancora ignote non lo sono sempre in vivo. ovvero sugli esseri viventi, e possono inoltre essere in grado di contrastare la proliferazione della forma attiva, ma talvolta non della cisti, che presenta una “corteccia” più resistente ed è in grado di dare vita ad una nuova forma attiva anche a distanza di tempo.
Le conseguenze di un’infezione da Acanthamoeba sono devastanti e portano alla cecità in un breve lasso di tempo, settimane o talvolta persino giorni. 
La cornea può arrivare letteralmente a liquefarsi, rendendo necessaria l’eviscerazione, ovvero la rimozione per via chirurgica di tutti i tessuti dell’occhio (fatta eccezione per la sclera ed i muscoli oculari), con il conseguente impianto di una protesi. 
Spesso l’eviscerazione è resa necessaria anche per i lancinanti dolori causati dall’infezione: la cornea è l’organo con la maggiore densità di recettori del dolore di tutto il corpo umano.
In altri casi, occorre procedere al trapianto della cornea.
E non ho ancora accennato al fatto che l’infezione è quasi sempre bilaterale, ovvero coinvolge entrambi gli occhi.
Un incubo, insomma, per i pazienti ma anche per gli specialisti in oftalmologia.

L’unica notizia positiva, se così si può definire, è che i casi di cheratite causati da questo microrganismo sono piuttosto rari ed il Moorfields Eye Hospital, per cui lavoro, ha curato poco più di 200 pazienti negli ultimi 20 anni.
E’ fondamentale considerare che per l’85% di questi pazienti esisteva un’associazione tra questa infezione e l’uso di lenti a contatto: in gran parte dei casi, infatti, la cheratite di Acanthamoeba si contrae per effetto di un uso scorretto di questo presidio. In particolare, lavare le lenti in acqua piuttosto che nella soluzione salina aumenta sensibilmente il rischio di favorire la sopravvivenza per molte ore e quindi la proliferazione dell’ameba.
Lo spazio compreso tra la lente e lo strato superficiale della cornea è infatti un ambiente caldo ed umido: un habitat perfetto.
Occorre quindi un uso corretto e responsabile delle lenti a contatto, che, senza dimenticare l’igiene delle mani, che deve essere praticata sempre e comunque, è riassunto dagli Inglesi nella regola delle tre “S”: don’t swim, don’t take a shower, don’t sleep, ovvero non nuotare, non fare la doccia, non dormire con le lenti a contatto.
Si tratta, comunque, di una regola applicabile a prescindere dal terribile quadro descritto in relazione all’Acanthamoeba: un impiego improprio delle lenti a contatto è causa di una grande fetta di accessi presso il Pronto Soccorso oculistico, in quanto vettore di infezioni virali e microbiche prima ancora che da Acanthamoeba.
Le suddette infezioni sono legate anche ad un altro costume tanto diffuso quanto sciagurato: ovvero indossare le lenti per una durata eccessiva.
Da quando ho iniziato a prendere confidenza con l’oftalmologia ed a gestire anche gli accessi di Pronto Soccorso, ho chiesto a tutti i pazienti che si presentavano con una sintomatologia di rossore, fotofobia e dolore oculare e che riferivano di essere portatori di lenti a contatto, per quante ore al giorno le indossassero. Un limite accettabile è di otto ore giornaliere.
Credo forse che solo un paio di pazienti lo avesse rispettato.
In alcuni casi, mi è stato riferito di lenti indossate per giorni ed addirittura settimane senza interruzione. Proprio ieri, ho ammonito un paziente, presentatosi con la classica sintomatologia di cheratite infettiva, di non indossare nuovamente le lenti dopo la visita oculistica (le aveva appena rimosse), salvo scoprire che aveva bellamente ignorato il mio consiglio dieci minuti dopo.  
In questo contesto, purtroppo, la cattiva informazione è dilagante ed i rischi connessi allo scorretto uso delle lenti a contatto sono spesso ignorati o sottovalutati, per cui gli operatori del settore, dagli oculisti agli infermieri sino ai contattologi, devono garantire una maggiore e più capillare educazione sanitaria. 
E’ sempre bene tenere presente, infatti, che si tratta, come la stessa Wikipedia riporta, di dispositivi medico-chirurgici, non di accessori estetici (benché ne esistano in commercio anche di colorate o decorate con vari motivi).
Non scherzate con il fuoco, per favore. Anzi, con l’acqua.   
Per chi volesse informarsi di più, consiglio comunque questo interessante link (in inglese) al gruppo di supporto per i pazienti che hanno vissuto un’esperienza di infezione da Acanthamoeba e per le loro famiglie, attivo presso il Moorfields Eye Hospital con una serie di iniziative per sensibilizzare sui drammatici effetti di questa patologia:

La Revalidation in UK e gli ECM in Italia: due sistemi a confronto.

A partire da Aprile 2016 è divenuta obbligatoria, in Inghilterra, la cosiddetta “Revalidation” per tutti gli infermieri iscritti presso il Registro Nazionale, ovvero l’NMC.
Si tratta, in buona sostanza, di un sistema di verifica triennale dell’idoneità a proseguire la professione infermieristica, in assenza della quale l’iscrizione presso il registro decade ed occorre presentare una nuova domanda, che potrebbe richiedere anche sei settimane prima di essere approvata. 
Con tutte le conseguenze che ciò, ovviamente, comporta per il proprio lavoro: è sottinteso, infatti, che continuare ad esercitare la professione infermieristica nel periodo di riapplicazione della domanda costituisce reato ed datore di lavoro potrebbe dunque decidere per il licenziamento dell’infermiere.
Il sistema di Revalidation comprende anche 35 ore di formazione professionale, ma è strutturato in maniera molto più complessa, poichè include:
  • 450 ore di pratica nell’arco di tre anni (o 900 ore, se si dispone di una doppia iscrizione come ostetrica e come infermiere)
  • 35 ore di CPD, ovvero di formazione professionale continua, di cui 20 in presenza;
  • Un minimo di cinque feedback positivi (provenienti da pazienti o da colleghi) collegati alla prassi svolta;
  • Un minimo di cinque riflessioni sul CPD, e/o sui feedback, e/o su un evento o esperienza nella propria pratica professionale e come questo si riferisce al codice di condotta professionale degli infermieri;
  • Una discussione con un altro infermiere registrato presso l’NMC, che copre le cinque riflessioni scritte;
  • Una dichiarazione di buona salute e buona condotta;
  • Dichiarazione che si dispone di una assicurazione professionale (per i dipendenti NHS, è in genere l’ospedale che fornisce una copertura, un po’ come avviene in Italia);
  • Una conferma da terze parti (ovvero dal proprio manager, di norma) che ci si è attenuti ai requisiti previsti per il rinnovo.
La documentazione deve poi essere inviata online all’NMC e da questo vagliata, prima di ottenere la conferma al rinnovo, che in genere avviene in tempi molto brevi. 
La Revalidation, quindi, costituisce uno scoglio abbastanza ostico da superare, ma non troppo. 
Senza dubbio, le sanzioni per chi non si attiene sono efficaci, a differenza di quelle ancora ipotizzate (e mai applicate) per gli infermieri italiani. 
Resta però sempre vera, indipendentemente dalla Nazione, la considerazione che, qualunque sia il sistema di formazione professionale o di idoneità alla professione, quando difetta una reale partecipazione si avrà sempre a che fare con un mero controllo formale, relativamente semplice da superare, ma mai in grado di accrescere la passione e l’impegno per una professione che invece necessita quotidianamente di passione ed impegno. 
Ed in grande misura, anche. 

Di recente, ho scritto un breve pezzo per la newsletter del mio Dipartimento, il Moorfields South, per evidenziare similitudini e differenze tra il sistema italiano e quello inglese. 
Lo riporto qui di seguito, nella versione italiana ed in quella inglese.  
(Versione italiana)
Non così tante persone, in Italia e nel Regno Unito, sanno che i servizi sanitari pubblici italiano e britannico sono identici.
Il SSN italiano ( “Servizio Sanitario Nazionale”), nato nel 1978, è stato modellato, infatti, sull’NHS. Anche la definizione dei due acronimi ha lo stesso significato.
I sistemi sono simili, così la politica e le regole. 
L’istruzione, la carriera e la struttura della leadership per gli operatori sanitari, invece, sono leggermente diversi, in particolare per gli infermieri. 
Specializzazioni e figure di manager, per esempio, esistono già, ma ancora lottano per essere pienamente apprezzate, in termini di riconoscimento economico e professionale.
Tuttavia, dal 2002, un sistema di sviluppo professionale continuo, denominato ECM ( “Educazione continua in medicina” – “educazione continua in medicina”), è stato introdotto in Italia ed è stato reso obbligatorio per tutti gli operatori sanitari. 
Il sistema ECM richiede che ogni professionista iscritto debba raccogliere 150 crediti nell’arco di tre anni (50 ogni anno), partecipando a conferenze, seminari, riunioni o corsi che normalmente durano mezza giornata o giornata intera. 
Alla fine di ciascuna di esse, occorre superare una valutazione scritta per guadagnare crediti.
Ogni evento può fornire una diversa quantità di crediti, a seconda di molti fattori, come la durata o l’interattività. Dopo ogni evento, copia digitale della valutazione viene inviata on-line ad una Agenzia nazionale (l’Agenas), per raccogliere prove che il professionista sta continuando a sviluppare le sue capacità e competenze.
Al termine del periodo di tre anni, il Consiglio professionale (che prende il nome, per gli infermieri italiani, IPASVI ed è strutturato a livello provinciale) verifica l’adesione al sistema ECM per ogni membro registrato. Il mancato rispetto può comportare sanzioni disciplinari.
A differenza della revalidation nel Regno Unito, l’ECM in Italia non ha quindi lo scopo di verificare l’idoneità per la pratica, ma di promuovere solo la crescita professionale.
Questo sistema di sviluppo professionale continuo ha funzionato fino ad ora? 
Non proprio, ad essere onesti.
Molti professionisti hanno partecipato agli eventi solo per accumulare crediti, per cui il sistema non ha raggiunto l’obiettivo di migliorare lo sviluppo professionale ed aiutare a riflettere sulla professione, carriera e competenze.
Le sanzioni non sono mai state definite ed attuate: nessun infermiere è stata sospeso o colpito finora per non avere frequentato eventi. In realtà, è ancora discusso se le sanzioni potrebbero essere un buon deterrente o se sono completamente inutili.
Senza il coinvolgimento personale e passione, ogni sistema di sviluppo professionale o di rinnovo costituisce, infatti, solo una formalità. Nessuno, infatti, può essere costretto ad essere un buon professionista solo perché c’è il rischio di essere radiati dal registro. 
Recentemente, in Italia, gli infermieri hanno iniziato sostenendo un riconoscimento istituzionale delle loro competenze avanzate e specialistiche: questo ha sollevato la consapevolezza è stata, finora, la spinta principale per ripensare e ridisegnare il ruolo di cura all’interno della professionisti della salute forza lavoro e per promuovere la partecipazione individuale e collettiva.
(English version)
Not so many people, in Italy and in UK, know that the British and the Italian public Health Service are identical.
The Italian SSN (“Servizio Sanitario Nazionale”), born in 1978, has been modelled, in fact, on the NHS. Even the translation of the two acronyms has the same meaning.
Systems are similar, so politics and rules. Education, career and structure of leadership for health professionals, instead, are slightly different, especially for nurses. Specialist and manager roles, for example, already exist, but still struggle to be fully appreciated, in terms of economical and professional acknowledgment.
However, since 2002, a system of continuous professional development, named ECM (“Educazione continua in medicina” – “continuous education in medicine”), has been introduced in Italy and it has been made mandatory for all health professionals. The ECM system requires that every registered professional has to collect 150 credits within three years (50 each year), attending conferences, seminars, meetings or courses that normally last half day or full day. At the end of each of them, a written assessment must be passed to earn credits.
Any event can provide a different amount of credits, depending on many factors, like the duration or the interactivity. After each event, digital copy of the assessment is sent online to a National Agency, to collect evidence that the professional is continuing to develop his skills and competences.
 At the end of the three years period, the Professional Council (which is named, for the Italian nurses, IPASVI and it is province-based) check the compliance to the CPD system for every registered member. Non-compliance may result in disciplinary sanctions.
Unlike revalidation in UK, the ECM in Italy is therefore not intended to check the fitness for practice, but to promote only the professional development.
Did this system of CPD work so far? Not really, to be honest.
Many professionals attended the events only to collect their credits, so it did not reach the aim to improve the professional development and to help to reflect on their profession, career and skills.
The sanctions have never been ruled and implemented: any nurse has been suspended or struck so far for not having attending events. In fact, it is still discussed if sanctions could be a good deterrent or if they are completely useless.
Without personal involvement and passion, any system of professional development or revalidation will result only in a formal check. Nobody, in fact, can be forced to be a good professional only because there is a risk to be struck off from the register. 
Recently, in Italy, nurses started claiming an institutional acknowledgment of their advanced and specialist competences: this raised awareness has been, so far, the main boost to rethink and redesign the nursing role inside the health professionals workforce and to promote individual and collective involvement“.