Tutti noi, quando svolgiamo un lavoro, ci relazioniamo con clienti, utenti, pazienti.
Tutti noi, quando non lavoriamo, siamo clienti, utenti, pazienti.
Diventa perciò molto interessante osservare come viene gestito da altri il rapporto con il cliente, quando il cliente siamo noi.
In genere, vale la sempreverde massima; “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”.
In molti casi capita di rimanere positivamente impressionati dal trattamento ricevuto, ma le disavventure – purtroppo – sono all’ordine del giorno.
Al rientro in Inghilterra dopo qualche giorno di meritate ferie, ho deciso, per guadagnare mezza giornata in più da trascorrere con i miei affetti, di volare da Roma Fiumicino anziché da Pescara.
Umore nero come al solito; per ovvie ragioni, lasciare la mia città, il mio Paese ed i miei cari non mi rende allegro, ma fino all’arrivo in aeroporto tutto è filato liscio come l’olio e con estrema tranquillità mi sono avviato al gate per l’imbarco.
Da questo momento in poi è iniziato un calvario caratterizzato da continue attese, che mi hanno portato ad accumulare oltre tre ore di ritardo rispetto al previsto e ad arrivare a casa a Londra, distrutto, solo alle 4 del mattino seguente.
Mi è già capitato di subire ritardi, per ragioni meteorologiche o tecniche: pazienza, preferisco arrivare sicuro piuttosto che puntuale a tutti i costi.
Ciò che mi ha incuriosito ed irritato al tempo stesso è stato osservare la pessima gestione del cliente (il famoso customer service) da parte dell’equipaggio della compagnia aerea, sia a terra in aeroporto che a bordo (compresi primo pilota e copilota).
Non ricordo, infatti, di essere mai stato informato né sul ritardo, né sulle ragioni del ritardo medesimo. Anzi, ho ricevuto informazioni spesso non veritiere e discordanti: “è il vento forte”, “no, è colpa dell’equipaggio incaricato delle operazioni di imbarco e sbarco passeggeri”, in un rincorrendo in notizie che ricordavano il 20-0 contro l’Inghilterra nella partita di calcio di fantozziana memoria. Ho atteso a lungo facendo leva sulle mie energie residue e sulla mia riserva di pazienza, ma l’indifferenza del team che avrebbe invece dovuto provvedere al comfort del mio viaggio e la sensazione di essere trattato come un sacco di patate (pagante, è bene ricordarlo) ha messo a dura prova anche i miei nervi.
C’è chi ha raggiunto il boiling point, il punto di ebollizione come si dice qui in Inghilterra, molto presto e, infuriato dalla lunga attesa, si è slacciato le cinture, andando a protestare rumorosamente con gli steward di bordo dinanzi alla cabina del comandante, con conseguente aumento della tensione e dello stress in tutti: equipaggio e passeggeri.
Scene cui non si vorrebbe mai assistere, in quello che dovrebbe essere un tranquillo viaggio come tanti altri.
Da quando ho iniziato a lavorare in UK, ho già seguito due brevi seminari sulla gestione dei rapporti conflittuali e sul customer service.
Superata l’iniziale sorpresa (sono un infermiere, a cosa mi serviranno mai questi corsi?) ne ho subito realizzato l’essenzialità per la gestione quotidiana del rapporto con i pazienti.
E’ bene ricordare che anche loro hanno pagato e continuano a pagare per il servizio offerto dal sistema sanitario, sebbene non estraggano la loro carta di credito: hanno quindi diritto a ricevere un servizio efficiente ed efficace, basato anche su una comunicazione mirata.
Così come quando ci si affida ad un vettore aereo, anche nel momento in cui si entra in un ospedale il cliente-utente-paziente è parte debole (ma per altri versi forte) del rapporto che si viene ad instaurare con il professionista che si incontra, sia esso steward, hostess, oppure medico od infermiere.
Il cliente-utente-paziente, infatti, è un soggetto che manca di informazioni fondamentali sulla prosecuzione del rapporto.
Quando si sale su un aereo, non si conoscono le procedure di decollo.
Analogamente, quando si entra nel Pronto Soccorso o nel Day Surgery di un Ospedale, non si conoscono, se non sommariamente, le cause di attribuzione di questo o quel codice di attesa, né la gravità della condizione clinica degli altri pazienti, né il numero di operatori in turno quel giorno, né la lista operatoria.
In tutti e due i casi, l’unica cosa certa è che si dovrà attendere e che la durata dell’attesa dipenderà dalle capacità e dalle competenze di professionisti cui ci si affida in tutto e per tutto.
L’attesa può inoltre diventare indeterminata non solo in un Pronto Soccorso od in un Day Surgery, ma anche nel caso si verifichi un ritardo nel volo, oppure nell’ipotesi in cui l’idraulico che abbiamo chiamato sia impegnato in altri lavori.
E’ in questa fase che diventa essenziale la comunicazione con il cliente-utente-paziente.
Solo uno sciocco può pretendere che non si verifichino contrattempi o ritardi, ma solo uno sciocco può attendere all’infinito senza ricevere aggiornamenti, spiegazioni e soprattutto senza perdere la calma.
E’ veramente sorprendente e, per certi versi, deludente, constatare che la maggior parte delle lamentele (come quella che io stesso ho scritto stamattina al vettore aereo) e delle controversie, anche legali, nasca proprio dalla carenza di assistenza al cliente.
L’immagine che si restituisce in questi casi, inoltre, è quella di un professionista indifferente non solo al cliente, ma anche al suo stesso lavoro: se non mi fai sapere perché la mia attesa si è prolungata, vuol dire che anche a te non importa nulla di quello che stai facendo.
E’ questa sfiducia, tutto sommato, la causa di molte proteste e lamentele in una struttura ospedaliera, specialmente in un Pronto Soccorso italiano.
Non sarà un caso se alla comunicazione verbale dell’operatore si è sostituita quella digitale di un display; tuttavia, traendo spunto dall’esperienza inglese, mi sento di suggerire ad ogni operatore sanitario due ulteriori, piccoli stratagemmi per calmare le acque e recuperare un rapporto con il paziente che si sta sfaldando, minuto dopo minuto:
1) la magica tazza di té (o caffé, od acqua). Provate ad offrire un piccolo rinfresco, come la tradizionale tazza di té con un sorso di latte (e senza zucchero) che si usa preparare qui in Inghilterra, e vedrete quante tensioni scioglierà, dando il tempo anche a voi di recuperare informazioni per comprendere le ragioni del ritardo, di cui spesso nemmeno voi siete a conoscenza.
Lo so, attuare questa strategia in un affollato Pronto Soccorso è complicato, ma magari nel contesto di un ambulatorio o di un Day Surgery ci si potrebbe provare.
Lo so, in Italia, il caffè lo paghi al distributore automatico.
Magari un bicchiere d’acqua e due biscotti possono funzionare lo stesso. Specie con i pazienti diabetici in attesa da ore, credetemi.
2) esordite presentando le vostre scuse.
Gli Inglesi sono famosi per scusarsi anche senza motivo.
E’ vero. Ma serve, in tanti contesti.
Magari non è colpa vostra.
Tuttavia, la posizione di sottomissione nella quale vi ponete, rispetto al cliente, cancellerà nella mente di quest’ultimo la sensazione di sentirsi un “suddito pagante” e vi permetterà di iniziare una discussione proficua, Nessun cliente-paziente vi chiederà di garantire un certo risultato.
Ma vi chiederà sempre di essere informato e vorrà, anche se inconsciamente, le vostre scuse.
Altrimenti le pretenderà, rumorosamente o per iscritto.
Esattamente come ho fatto io stamattina, dopo non aver ricevuto, ieri notte, né un bicchiere d’acqua (fornitomi solo su richiesta), né le scuse per il grave ritardo accumulato (se non da uno steward e solo alla fine del viaggio).
Attendo ancora una risposta.