I terroni e la deportazione legalizzata

Il mio post di oggi non riguarda gli infermieri, ma coinvolge anche loro. In generale, è indirizzato a tutti i meridionali, che da sempre hanno dovuto convivere con lo spettro, a volte dramma, dell’emigrazione.
Non importa se nel Nord Italia od all’estero, abbandonare la propria terra ed i propri affetti è una scelta che comporta sempre sofferenze e sacrifici, perchè non la si affronta “per fare un’esperienza” o “perchè si è curiosi di conoscere il mondo”, o “perchè ci si sente soffocati nel paesello di provincia”.
Emigrare vuol dire relegare a mera speranza quella che per gli “esploratori del mondo” è una certezza: il ritorno a casa.
Emigrare non è una scelta, ma una strada che attraversa un canyon: la si percorre perchè non ci sono alternative.
Il perchè poi si debba per forza iniziare a percorrere quella strada, beh…dipende dal vissuto di ognuno di noi.
Prima di condividere o solidarizzare, invito quelli che non l’hanno mai vissuta a pensare cosa significhi trascorrere compleanni o Natali da soli.
Se si arriva a tanto, le motivazioni devono essere più che valide.
La società italiana, in particolar modo la politica italiana e la Pubblica Amministrazione hanno da tempo provato ad edulcorare questa realtà usando termini come “fuori sede”, “distacco”, “mobilità”. Pareva brutto dire anche solo “emigrato”.
La cosa peggiore è che chi abbandona la propria casa, per sopperire alle carenze di altre realtà sociali, non è stato mai premiato.
Nella migliore delle ipotesi è stato trattato come gli altri, anche economicamente: ovvero con lo stesso misero stipendio che da sempre in Italia hanno categorie di enorme importanza per lo sviluppo e la tutela sociale, come gli insegnanti o gli infermieri.
Li si tratta come se avessero una casa di proprietà in ogni città d’Italia. Con la riforma renziana della Buona Scuola (mai parole furono più fuori contesto) si è adesso addirittura messa in piedi una deportazione sociale di massa a 1.200 Euro al mese: accetti ed abbandoni tutti, famiglie, casa, e vai a lavorare a centinaia di chilometri da casa, o rimani disoccupato. Un autentico ricatto.
Lo stesso che io stesso subii oltre 10 anni fa, quando, nell’accettare una proposta di lavoro da una catena di abbigliamento, mi fu detto: scordati il tuo Abruzzo. Fui mandato vicino Como. Per la prima volta fui chiamato terrone, Resistetti un mese. Non per il terrone, il lavoro faceva schifo.
Mi domando a tal proposito quale sia la produttività ed il turn-over di un’azienda che tratta i suoi dipendenti come moderni schiavi: ti pago se fai quello che ti dico e vai dove ti dico. Ora la Pubblica Amministrazione ha dato prova di aver assorbito la stessa mentalità del privato: o fai come ti diciamo noi e ti (sotto)paghiamo o te ne stai a casa. Mi successe anche questo, in un’altra circostanza.
Ma ora con gli insegnanti si è arrivati all’estremo: se ti ribelli e protesti chiamo la Polizia antisommossa.
Ribellatevi, rifiutate. Tutti insieme. Lasciate cattedre, intere scuole scoperte. Scioperate ad oltranza. Non coltivate solo il vostro orticello. Vediamo per una volta cosa succede. Vediamo che succede se per una volta i terroni non piegano la testa.
Ma prima leggete quest’articolo pubblicato su http://www.tiscali.it e sgranate gli occhi. 

http://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/pestaggio-studente-unita-gongola/

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