Voglio andare a lavorare come infermiere in Inghilterra! Ma…come faccio?

Da qualche settimana ho iniziato la mia collaborazione, in qualità di corrispondente da Londra,  con Nurse24.it, il primo magazine online pensato, fondato e gestito da infermieri per gli infermieri (e non solo). 
Qui di seguito riporto il mio primo articolo, relativo alle modalità di reclutamento degli infermieri overseas (qualificano così in UK tutti gli infermieri stranieri). Buona lettura e ricordate…non c’è trucco, non c’è inganno!  

Folle oceaniche che si contendono un posto messo a concorso, manuali da comprare e studiare per preparare i quiz, tasse concorsuali, turni di riposo e ferie incastrati miracolosamente, persino viaggi collettivi della speranza in pullman od auto per risparmiare le spese: la realtà delle selezioni per infermieri in Italia è ben conosciuta ed ha assunto negli ultimi anni connotati di intensa drammaticità.
Anche per questa ragione migliaia di connazionali, nella quasi completa indifferenza delle istituzioni, stanno muovendo verso altri lidi, principalmente l’Inghilterra, dove i concorsi pubblici, semplicemente…non esistono.
Il processo di selezione, ovvero il recruitment, degli infermieri ruota infatti intorno al rituale dell’interview, ovvero del colloquio.
A presiederlo, in genere, dirigenti infermieristici (matron o line manager) dell’ospedale che ha pubblicato l’offerta di lavoro.
Analisi del curriculum, talvolta qualche semplice quiz scritto, in genere per saggiare il grado di competenza in materia di dosaggio dei farmaci, domande vertenti sulle esperienze di lavoro pregresse, ma anche sulla vita privata e sui propri interessi personali; per per concludere, qualche domanda finalizzata a verificare la capacità dell’infermiere di fronteggiare situazioni di “ordinaria emergenza”, come la caduta di un paziente in reparto o un’aggressione verbale da parte di un visitatore.
Pochi minuti di attesa, nel peggiore dei casi uno – due giorni, quindi la fatidica risposta.
Tutto avviene in modo così rapido che si fa davvero fatica a credere di essere assunti così facilmente presso un ospedale pubblico, abituati come siamo alla durata dei nostri concorsi, quantificabile quasi in ere geologiche.
Eppure è quanto avviene da sempre sia nelle strutture private che pubbliche del Regno Unito.
Viene da chiedersi immediatamente: si tratta di un sistema meno meritocratico e imperfetto, potenzialmente fonte di ingiustizie e raccomandazioni?
In fondo, non esistono parametri oggettivi di valutazione e I nostri Padri Costituenti, con l’art. 97, hanno previsto il sistema dei concorsi pubblici proprio per garantire equità, efficienza e trasparenza!
Da bravi Italiani, siamo infatti abituati ad essere furbi e maliziosi, seguendo il modello di quel famoso politico democristiano che affermò che “a pensar male si fa peccato, ma quasi mai si sbaglia”.
In realtà, la selezione è un processo più trasparente di quanto si creda e non si esaurisce nella sola interview. Quanto in essa viene affermato o scritto deve trovare riscontro nelle dichiarazioni (scritte) di terzi soggetti, ovvero le referenze (references).
Esatto, proprio quelle che normalmente in Italia si definiscono raccomandazioni e che spesso si usano ai confini delle legalità per ottenere un posto di lavoro. In altri Paesi d’Europa, come il Regno Unito, riporre fiducia nel proprio manager o nel datore di lavoro è scontato e costituisce uno dei pilastri della convivenza sociale.
Per tale ragione, dalle references non si sfugge, pena la decadenza dall’assunzione.
Per un infermiere di casa nostra, ottenerle dal proprio datore di lavoro italiano rappresenta sicuramente un passaggio delicato e faticoso, più della stessa selezione.
Specie se sono mesi che lo stipendio non viene pagato o si è stati assunti in nero, ad esempio.
Alla fine, comunque, una soluzione si trova sempre.
Per gli infermieri italiani e per gli overseas in generale, ovvero tutti quegli infermieri europei che, come gli spagnoli, negli ultimi anni si stanno trasferendo come noi in Inghilterra, la selezione è facilitata da apposite agenzie (recruitment agencies) che offrono condizioni particolarmente vantaggiose ed includono nell’offerta di lavoro, a seguito di accordi con la struttura ospedaliera, un pacchetto di relocation, comprendente una serie di benefits come il primo mese di alloggio pagato, di norma presso una accomodation, ovvero una residenza per lavoratori (ve ne sono molte in Inghilterra, spesso costruite accanto agli ospedali e destinate in via prioritaria proprio a medici ed infermieri), oppure il primo mese di metropolitana pagata.
Condizioni sicuramente allettanti per la maggior parte degli infermieri italiani.
Nessun imbroglio, nessun inganno, anche se qualche verifica sui siti delle agenzie è sempre opportuna e consigliata.
Il reclutamento avviene principalmente online, sui siti specializzati ma anche su Facebook è facilissimo imbattersi in offerte di lavoro provenienti da ogni parte del Regno, ma per chi conoscesse già l’Inglese è possibile avventurarsi su www.jobs.nhs.uk, il portale ufficiale dedicato alle offerte di lavoro del servizio sanitario pubblico.
A proposito della competenza linguistica: solo di recente, a partire dal 18 gennaio di quest’anno, la Gran Bretagna ha introdotto tra i requisiti per l’iscrizione al registro infermieri, ovvero l’NMC, il requisito del superamento del test Ielts negli ultimi due anni (l’International English Language Test System e’ un test internazionale standard per la lingua inglese), oppure lo svolgimento di un corso con almeno il 75% di interazione clinica in inglese, oppure l’aver lavorato per due anni in un paese anglofono che prevede la valutazione linguistica per la registrazione all’ordine.
Il candidato che non può dimostrare la propria competenza, deve superare il test IELTS, con un punteggio minimo di 7.0 in ciascuna delle quattro aree di esame: lettura, scrittura, ascolto e conversazione.
Il Consiglio ha inoltre deciso che gli infermieri iscritti all’NMC, che subiscono una segnalazione per la mancata conoscenza della lingua inglese, potrebbero, in futuro, essere soggetti a verifica di idoneità.
Con l’approvazione di queste regole, gli infermieri Europei sono stati uniformati a quelli extraeuropei.
Quindi…keep calm and learn English!

La fine (della sanità pubblica) è vicina

Tempo di Pasqua, tempo di ferie (anche per me). E la drammaticità del rientro è direttamente proporzionale alla loro durata. Negli ultimi tempi è successo di tutto: medici sospesi per aver consentito ad infermieri di gestire autonomamente ambulanze del Pronto Soccorso, somministrando farmaci senza prescrizione medica, ma basandosi solo su protocolli e linee guida (addirittura!), infermieri che montano una ribellione contro “opinionisti” che dichiarano in televisione che l’infermiere triagista non ha studiato per questo (e loro per cosa hanno studiato?), infermieri additati come angeli della morte che poi vengono apparentemente scagionati da errori di trascrizione delle intercettazioni. 
Non c’è dubbio che i tempi stiano cambiando e che la sanità sia investita da una serie di innovazioni e vicende che vedono da una parte professionisti pronti al cambiamenti, dall’altra forze che si oppongono e resistono, soprattutto per effetto di reticenze culturali, a questa evoluzione. 
Bene, ma dove ci stanno portando questi cambiamenti? Mi abbandono di seguito ad una serie di riflessioni. 
In primo luogo, le esigenze di contenimento dei costi, dettate dalla crisi economica ma non solo, stanno aprendo grandi spazi di crescita per l’infermiere, ancora tutti da sfruttare per fornire all’opinione pubblica una nuova e più evoluta immagine della professione, che sicuramente sta beneficiando anche di un fisiologico calo del numero dei medici, legato al tanto discusso numero chiuso adottato negli ultimi anni dalle università. 
Ma quali sono gli scenari futuri dei sistemi sanitari in cui si farà strada questa versione “2.0”, per usare una diffusa terminologia del web, dell’infermiere? Non c’è dubbio che ormai siano statisticamente preponderanti nella popolazione le patologie cronico – degenerative, legate spesso ad abitudini di vita giudicate scorrette: la cattiva alimentazione (e l’obesità), l’alcolismo, il tabagismo. Da esse dipendono patologie come il diabete, la cirrosi epatica, la broncopneumopatia cronico-ostruttiva, che implicano un’assistenza medico – infermieristica a lungo termine estremamente complessa e costosa. Pazienti con queste patologie costituiscono ormai la quotidianità di molti reparti e servizi ospedalieri e territoriali. Un’ampia fascia della popolazione, tuttavia, da tempo persegue stili di vita sani, trovandosi dunque meno esposta a contrarre le patologie suddette. 
Fermiamoci un attimo, riprenderemo questo punto tra poco. 
E’ inoltre innegabile che negli ultimi anni l’Europa sia al centro di una fortissima pressione migratoria che sta già dividendo l’opinione pubblica (e le forze politiche). I nuovi migranti si aggiungono ai vecchi, ma il comune denominatore è la provenienza da Paesi con una assistenza sanitaria scadente.
Specialmente in Paesi come l’Inghilterra o la Francia, i cittadini extracomunitari rappresentano la maggioranza dei pazienti che accedono ai servizi sanitari, specie in determinate aree in cui costituiscono anche la maggioranza della popolazione residente.
Tutto ciò si traduce in costi, sostenuti normalmente attraverso l’imposizione fiscale, nei Paesi con assistenza sanitaria pubblica, da cittadini europei, benestanti o che comunque svolgono un’attività lavorativa, in favore di cittadini, stranieri e non, che spesso non hanno contribuito nè contribuiscono al prelievo fiscale, in quanto disoccupati o beneficiari di benefits (sussidi) a vario titolo. 
Ora: per quanto tempo un (ad esempio) professionista europeo, economicamente agiato, tollererà di rimanere in coda al Pronto Soccorso o di attendere mesi un intervento chirurgico perchè dinanzi a lui ci sono immigrati o connazionali che hanno da sempre vissuto di sussidi statali? 
Per quanto tempo una persona che ha sempre osservato uno stile di vita “salutista” sarò disposta ad attendere settimane per un appuntamento con uno specialista, la cui lista d’attesa è intasata da pazienti obesi, tabagisti, alcolisti?
La sanità pubblica, a mio parere, sta già subendo l’esodo di queste categorie di pazienti, che si rivolgono fin d’ora a strutture private. 
Ma prevedo che tra non molto l’intero sistema dell’assistenza sanitaria cesserà di essere pubblico e gratuito per tutti, nei Paesi, come il Regno Unito e l’Italia, in cui ancora sopravvive. Si assisterà invece ad una creazione di un modello privatistico – assicurativo di stampo statunitense, lasciando ai pazienti poveri ed agli immigrati una assistenza di bassa qualità in pochi centri che resteranno pubblici.
Uno scenario inquietante? Forse. Ai posteri – come si suol dire – l’ardua sentenza.